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xiv - il pericolo 327


     Ecco me di repente,
me stesso, per l’undecimo
lustro di giá scendente,
sentii vicino a porgere
25il piè servo ad Amor:
     ben che gran tempo al saldo
animo in van tentassero
novello eccitar caldo
le lusinghiere giovani
30di mia patria splendor.
     Tu da i lidi sonanti
mandasti, o torbid’Adria,
chi sola de gli amanti
potea tornarmi a i gemiti
35e al duro sospirar;
     donna d’incliti pregi
lá fra i togati principi
che di consigli egregi
fanno l’alta Venezia
40star libera sul mar.
     Parve, a mirar, nel volto
e ne le membra Pallade,
quando, l’elmo a sé tolto,
fin sopra il fianco scorrere
45si lascia il lungo crin:
se non che a lei dintorno
le volubili Grazie
dannosamente adorno
rendeano a i guardi cupidi
50l’almo aspetto divin.
     Qual, se, parlando, eguale
a gigli e rose il cubito
molte posava? Quale,
se improvviso la candida
55mano porgea nel dir?