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poesie piacevoli | 45 |
LXXIII
O Fortuna, Fortuna crudelaccia,
che se’ fatta per mia disperazione;
Fortuna non piú no, ma Fortunaccia,
ha a durare un pezzo sta canzone?
Vogliam finirla, e volger quella faccia
un poco ancora alle buone persone?
Che si che mi daresti roba a braccia,
s’io t’avessi la ciera d’un briccone?
S’io fossi, verbigrazia, una puttana
o un castrato o una cantatrice
o un bel marmocchio ovvero una ruffiana?
Allora si diventerei felice.
Ma perché osservo la legge cristiana,
ognun mi scaccia, ognun mi maladice,
e son sempre infelice.
Ma vivrò, sguaiataccia, al tuo dispetto;
e se ti grappo un di per quel ciuffetto,
te lo strappo di netto:
sicché i ragazzi, a vederti si bella,
t’abbian a gridar dietro: — Velia, velia!
LXXIV
Molti somari ho scritto in una lista,
che pretendon saper di poesia,
e ne san tanto quanto un ateista
ne può sapere di teologia.
Se t’incontran talotta per la via,
tosto di non vederti fanno vista;
e pur, se chiedi lor Dante chi sia,
dicon che Dante gli era un secentista.