Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/117

Da Wikisource.

Io scommetterei che questo rimprovero è a lui rincresciuto piú d’ogni altro ch’io gli abbia fatto nella mia lettera; eppure non è punto ingiusto, né ingiurioso, come sono tant’altri, ch’egli ha fatto a me e agli altri onorati suoi avversari. Soggiugne inoltre che «se io altro premio ed altra mercede del mio esercizio non ricavassi che quello che a lui rende la sua carica, presto presto cangerei mestiere e patria». Ma io gli rispondo che, purché io ci avessi con che vivere, non lo farei. Vedete di che diversa natura siamo il padre Branda ed io. So che la patria è tenuta di dar sostentamento a’ suoi cittadini per esserne servita, e che questi sono tenuti a servirla per esserne sostentati, senza pretenderne ulteriore mercede. Io non voglio ora entrare a disaminare se la cattedra del padre Branda a lui renda o no qualche cosa direttamente. So bene eh’ io mi vergognerei grandemente di pubblicar si leggieri ed interessate proposizioni; e che d’altra parte, s’io mi conoscessi abile ad adempir que’ doveri del pubblico professore de’ quali ho parlato sopra, mi riputerei a grande fortuna e ad altissimo onore di poter, senz’altra mercede veruna, servire alla mia patria in un posto per sé cotanto luminoso, e di vedere affidati alla mia direzione i giovani cittadini. Per altro, dicendola qui fra noi, di quale scandolo non debbono essere a’ buoni patriotti si fatte proposizioni? Che sarebbe della nostra cittá, veramente stata finora «albergo di ogni virtú e sede di tutte le nobili arti»? quale razza di cittadini avremmo noi, se tutti pensassero come imprudentemente mostra di pensare il padre Branda? Guai a quella patria, i cui cittadini sono indifferenti per essa, e che con una stoica malvagia filosofia chiamano loro patria tutto il mondo, per non avere patria veruna. «Per ultimo ha fatto risolvere il padre Branda sopra la risposta ciò che in fine del suo secondo dialogo fu scritto, cioè che delle cose ribalde ed insolenti, che si fossero pubblicate, non sarebbesi fatto motto alcuno; ma, dove si portassero ragioni e si scrivesse in causa per alcuno contro le cose giá stampate, sarebbesi a ciò soddisfatto per que’ medesimi scolari suoi e virtuosi giovanetti, che ne’primi due dialoghi furono gl’interlocutori».