Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/215

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scultura: imperocché quest’ultima altro non può fare, fuorché imitar le linee dell’architettura e della prospettiva, dove la pittura sa co’ suoi colori e colle sue ombre imitare e le linee, e le superficie, e i rilievi cosí dell’architettura come della scultura. Ciò si è voluto dire, acciocché piú agevolmente s’intenda come anche nel presente costume de’nostri teatri tutte le belle arti concorrano a formare un unico e medesimo spettacolo; conciossiaché la dipintura vi supplisca per le altre, rappresentandoci, quando occorre, anche le opere dell’architettura e della scultura, e facendo a un dipresso il medesimo effetto come se, non giá le opere di quella, ma le opere di queste ci venisser poste davanti, e inoltre accrescendo anche il nostro piacere coll’accrescer l’imitazione. Ecco di poi che viene sul teatro la poesia ad adoperar di conserva colle altre arti, anzi piú veramente ad assumerle come sue ministre, a guidarle ad un medesimo fine ed a costituire la necessaria unitá della rappresentazione. Essa conduce seco la favola, con cui interessa il nostro cuore; l’espressione, con cui v’imprime profondamente i suoi sensi; la versificazione, con cui dá forza all’espressione e diletta l’orecchio; la importanza degli avvenimenti, l’elevatezza delle persone, la veritá e la forza de’ caratteri, la sublimitá de’ pensieri, la ingenuitá de’ sentimenti, il contrasto, il perturbamento delle passioni, la nobiltá o la magnificenza dell’elocuzione; colle quali cose tutte innalza, rapisce, commove e mette in tempesta l’animo degli spettatori. Ecco: ella vuol, per esempio, rappresentar la Didone abbandonata. Ella dice al direttore dello spettacolo: — Tu trovami tre attori, tutti e tre di persona ben formata, tutti e tre di voce aggradevole, tutti e tre abili al canto, tutti e tre d’etá tra giovine ed adulta. La prima sia una donna di forme auguste, e che abbia, o mostri almeno, un temperamento vivace e fortemente appassionabile. L’altro un uomo di fattezze regolari e gentili, che mostri un animo tenero, ma anzi freddo che no. Il terzo sia pure un uomo di corpo piú robusto che l’altro, non cosí bello; abbia un non so che di fiero e di barbaro nel viso, ma non villano. Abbiano amendue la voce maschile, ma il primo men forte che il secondo. Tu, maestro della musica, G. Parini - 1.