Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/258

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di trasferire dal Lazio dietro alla fortuna delle loro armi e di trapiantare nelle debellate province, servendosi delle leggi e della forza, non contenti di ciò che avrebbe naturalmente operato il calamitoso commercio de’ popoli guerreggianti. Ma, dopo il principio del romano imperio, cominciò ad alterarsi notabilmente la lingua latina e a dicadere da quell’amica puritá e da quello splendore, in cui, anche in tempo di Augusto, maneggiata da esimi scrittori, sembrava che sola meritasse d’esser la lingua de’ vincitori del mondo. Non solo entravano di giá a far corpo nella favella dominante molte maniere del dire dissonanti c barbare, ma la stessa composizione delle voci e delle frasi nel discorso cambiava sensibilmente d’indole e di forma. Inoltre la gramatica e lo stile di quasi tutti gli scrittori non solo smarriva quel fiore di urbana eleganza e nobiltá, ma andava ogni giorno piú divenendo irregolare e capriccioso. Se ciò accadeva negli scrittori, ben è facile di figurarsi quello che seguiva nel popolo, il quale ordinariamente è sospinto a favellare dall’urgenza del bisogno presente, che spazio non gli lascia d’avvertire e di scegliere. Aggiungasi che, negli stessi tempi migliori della lingua, il popolo romano parlava un latino notabilmente diverso da quello che le persone nobili o letterate eran use di parlare; talmente che erano instituite in Roma pubbliche scuole, nelle quali il patrio sermone insegnavasi alla gioventú. Di questi cambiamenti, che collo scadere dell’imperio andarono vieppiú crescendo nella iatina ‘lingua, diverse furono le cagioni. La prima di tutte si è che, col cadere della romana libertá, tutte, per cosí dire, le muse rimasero sbigottite. L’esattezza, l’eleganza, la grandezza, la forza, la gloria degli oratori tutte si spensero in uno colla libertá del dire nelle pubbliche cause; la quale, siccome era il maggior fomite che dar si potesse allo entusiasmo dell’eloquenza, cosí piú d’ogn’altra cosa doveva esser frenata dalla tirannia che si andava sempre piú stabilendo. Tolta cosí o scemata la nobile franchezza degli oratori, ecco spegnersi il calor delle gare, ecco perciò trascurarsi la vera magnificenza del dire e le naturali pompe dell’elocuzione e dello