Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/263

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patria e dell’ Italia, quindi ad amministrar nelle supreme cariche gli affari piú importanti e scabrosi della repubblica fiorentina, e di poi agitato continovamente fra le varie fortune d’un perpetuo esilio, fu il primo che, trasferendo l’entusiasmo della libertá politica anco negli affari delle lettere, osò scuotere il giogo venerato della barbara latinitá de’ suoi tempi, per levar di terra il peranco timido volgare della sua cittá, e condurlo di balzo a trattare in versi l’argomento il piú forte ed il piú sublime che a scrittore ed a poeta cristiano potesse convenirsi giammai. L’Italia era di que’ tempi comandata in gran parte da piccoli tiranni, e piú che di cittadini, piena di fuorusciti, i quali tutti empievano a gara le misere contrade di rapine, di violenze e di sangue. In mezzo ad una quasi comune barbarie di costumi e di lettere e d’arti, regnavano mille opinioni e mille pratiche superstiziose, le quali sono l’unico asilo e il solo conforto degli animi crudeli e delle coscienze malvage. La teologia era pressoché la sola scienza che allora dominasse le scuole, se però «teologia» può quella chiamarsi, la quale comunemente in altro non consisteva, fuorché in vane controversie di parole, con cui le ostinate fazioni scolastiche procuravano di spiegar colla dottrina di Platone o di Aristotele i misteri della cristiana religione. In tale circostanza di tempo comparve il poema di Dante, nel quale, non con minor evidenza che fierezza ed energia di pennello, erano descritti i gastighi de’malvagi nell’inferno, e s’insultavano e si adulavano le contrarie fazioni, dannando e salvando, secondo che fosse meglio paruto al poeta, i principali partigiani dell’una e dell’altra; nel quale erano o condannate o difese le ragioni e la condotta de’vari partiti; e cosi per mille modi cavate dall’infelice natura de’tempi le cose che potesser meglio interessare nel suo poema, sia scuotendo le fantasie de’ suoi contemporanei rendute suscettibili di tetre e terribili impressioni dall’ignoranza e dalle scelleragini, sia solleticando le loro avversioni e loro odii. In tal guisa la maggiore opera di Dante, e per l’importanza dell’argomento e per la