Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/264

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dottrina, e massimamente per l’interesse delle passioni dominanti, divenne famosa e ricevuta non solamente nella Toscana, ma anche fuori; di modo che, vivendo tuttavia il poeta, si cantavano pubblicamente dal popolo i versi di lui. Ed è da credere che il bando, che il poeta ebbe dalla sua patria per la prepotenza del partito contrario a lui, siccome contribuí alla perfezione del poema, cosí contribuisse notabilmente a divulgarlo in varie bande dell’Italia per propria bocca dell’autore. Intanto non solo i toscani, ma gli altri italiani ancora cominciarono ad avvedersi che tutte le lingue si rendono atte a trattar qualsivoglia grande soggetto, qualora sieno esse maneggiate da grandi scrittori; e gli uomini letterati dell’una e dell’altra parte dell’Appennino s’invogliarono d’intender perfettamente quel volgare in cui cosí eccellente opera era scritta, se ne invaghirono, e cominciarono essi pure a provarsi di scrivere in quello, e di parlarlo eziandio. Dopo Dante venne il Petrarca, nato anch’egli nell’esilio de’ suoi parenti da Firenze, dotato anch’egli di vivacissima fantasia e di sublime talento, ma fornito di gusto anche piú squisito e delicato che Dante non era. Il temperamento piú tranquillo, che al paragone di Dante sorti il Petrarca, fu quello che, malgrado le condizioni della sua fortuna, il riconduceva mai sempre dal tumulto degli affari e delle corti alle sue amate solitudini, dove, confortato dal suo genio, attese a rivolgere tutte le opere eccellenti dell’antichitá. La felicitá dell’ingegno, l’assiduita dello studio e la pratica degli uomini fecero poi si ch’ei divenisse non solo uno de’ migliori filosofi e politici de’ suoi tempi, ma eziandio l’unico scrittore che col suo esefnpio tentasse di rinnovare il gusto della buona latinitá, e salir facesse al piú sublime grado di nobiltá e d’eleganza la lingua italiana. Egli fu che dal piú bel fiore della spenta lingua latina e dall’antica provenzale introdusse nel nostro idioma e graziosi vocaboli e gentilissime forme del dire, atte a nobilitare non solamente la poesia, ma la prosa medesima; nel che adoperò egli con assai maggiore avvedimento che Dante non aveva fatto prima di lui. Imperocché, dove quegli, condotto dal suo