Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/295

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dell’arte. Egli medesimo si accusa di un tale difetto, fingendo piú d’una volta ne’ suoi versi lirici d’esserne stato ripreso da chi li leggeva. E in vero, anche nella Gerusalemme stessa, è egli nella maniera d’esprimersi qualche volta aspretto anzi che no, e, generalmente parlando, non vedesi in essa né quella morbidezza né quella che par cosí naturale facondia del dire, che trovasi nel Furioso dell’Ariosto, e la quale può ottimamente congiungersi colla dignitá e colla grandezza, come è manifesto per tanti insigni esempi dell’Ariosto medesimo. Ma, non ostante tutto ciò, chi legge VAmbila, dopo aver lette quasi tutte le opere del Tasso, non senza grande maraviglia scopre in esso quello che non sarebbesi mai figurato di ritrovare a cosí alto segno in questo autore, cioè estrema proprietá di lingua, nitidezza, eleganza e facilitá incomparabile d’elocuzione e di stile. Il Tasso, nella sua Gerusalemme, siccome si studiò di camminar sui passi di Virgilio massimamente e di contender con esso, come felicemente riusci, cosí anche v’introdusse assai volte certe forme e un certo andar d’elocuzione che ha del latino, e che produce novitá e talvolta anche grandezza; ma nell ’Aminta, dovendo egli procurare d’esser semplice, per accomodarsi al costume tolto da lui ad imitare, non potè andar cercando né parole né frasi né giri della dizione che lossero troppo alieni dal comune linguaggio poetico giá formato da’ nostri grandi scrittori. Due cose adunque gli restarono a fare per rendere eccellente la sua pastorale quanto all’elocuzione. La prima si fu di scegliere nella nostra favella quanto ci era di piú pure, di piú leggiadre, di piú gentili parole e forme del dire; e queste accozzar poi insieme, di modo che nel verso formassero un suono ed un andamento tutto semplice nello stesso tempo e tutto grazioso. L’altra cosa che egli fece, si fu di andare imitando negli eccellenti greci, e massimamente in Anacreonte, in Mosco e in Teocrito, certe figure, certi traslati, certe immaginette, certi vezzi insomma che paiono affatto naturali, eppur sono artifiziosissimi e delicati. Nella quale imitazione il Tasso si contenne veramente da quell’uomo grande che egli era; imperocché non ricopiò giá egli, né troppo da vicino imitò, ma