Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/302

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commercio o per capriccio, introduce vocaboli e modi forestieri, abbandonando i nativi; talvolta quella parte de’ cittadini, che si distingue dalla plebe o per fortuna o per grado o per gentilezza di costumi, sdegna di servirsi di que’ termini e di quelle espressioni che colla plebe le sono comuni, massimamente quando sono applicate a significare cose vili o schife o inoneste, e però ne inventa e ne deriva delle nuove. Perfine mille altre circostanze fanno che, fra le nazioni colte, vi è sempre un parlare diverso da quello che il popolo usa volgarmente. Ora coloro che per natura delle loro circostanze si addestrano e si preparano a dover parlare, e fra questi gli scrittori che si reputano dover ciò fare spezialmente, quelli sono che, potendo usare avvertenze, manco abusano della proprietá e del significato de’ termini, manco licenza si pigliano nell’adottarne de’ nuovi, e piú s’allontanano da quelli che, nel concetto delle persone gentili, sono vili e impoliti per il continuo associamento di essi con certe idee. Inoltre coloro, che si preparano a ciò che dicono, studiano piú d’esser chiari e d’esser brevi; e per ciò ora suppliscono i difetti, ora tolgono le soprabbondanze dell’uso delle particelle e delle frasi; studiano ancora d’esser graziosi all’orecchio di chi ode, e perciò talvolta cambiano per questo fine in meglio la materiale composizione delle sillabe nella parola; ne raddolciscono la pronuncia, cambiando in qualche modo il suono comune d’alcuna voce nella parola stessa; tolgono alcuna sillaba, ne sostituiscono qualche altra per lo stesso fine; sfuggono le maniere proverbiali relative a costumi, a fatti e simili altre cose del popolo, per ridurre il discorso a maggiore esattezza, regolaritá e precisione metafisica, proporzionata alla naturale composizione e serie delle idee nella mente; finalmente introducono tante altre cose, che con esse vengono a formarsi e stabilirsi quasi due diverse specie di parlari nella stessa favella. Altro adunque ne’ vari dialetti della Grecia era il linguaggio del volgo, altro quello degli scrittori. Lo stesso che nella Grecia fu in Roma, nella quale è dimostrato presso tutti gli eruditi che tutt’altro linguaggio parlavasi dalla plebe e da’ servi che quello in cui parlavano e scrivevano famigliarmente Cesare e