Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/303

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Cicerone. Ma nelle colte nazioni moderne ancora non segue differentemente; e, per attenerci alla nostra, lasciando stare il troppo gran divario che corre tra ciascun dialetto dell’Italia non toscana e la lingua pubblica comune, quanta differenza non ci è pure tra il linguaggio della plebe fiorentina e quello delle persone colte e degli scrittori di Firenze? Noi abbiamo a bella posta fatte le presenti osservazioni, acciocché si potesse stabilire fondatamente questa prima regola, cioè che debbesi dalle persone gentili parlar come le gentili parlano, e scrivere come gli scrittori fanno; e che perciò noi abbiamo ad apprendere la lingua, non giá dal popolo, ma dagli scrittori medesimi, come le altre cose impariamo non giá da coloro che a caso e rozzamente le fanno, ma da quelli che fannoie con osservanza e regolaritá. Siccome poi fra gli scrittori medesimi ce ne ha di quelli che per lor natura sono piú atti a scriver con puritá nella lingua che gli altri, però questi agli altri si debbon preporre. Ora quelli che sono piú atti a ciò sono i toscani, i quali succhiano col latte nella lor patria l’abbondanza de’ termini, la loro proprietá rigorosa e la loro naturale composizione. Adunque i toscani scrittori, nel fatto della lingua, debbonsi premettere a ciascun altro, e questa è la seconda regola. I principali autori della lingua nobile italiana sono stati fiorentini, e sono essi che hanno deposto ne’ loro scritti il primo materiale che serve di base alla lingua ora comune dell’ Italia; e, poiché l’analogia vuole che a quella prima si conformi la restante materia de’ vocaboli che hanno ad usarsi, quindi viene la terza regola, che gli scrittori fiorentini debbono essere i nostri principali maestri nel fatto della lingua. Se ciò non si facesse, ne seguirebbe un gravissimo assurdo; ed è che, usandosi nelle diverse province toscane e vocaboli e modi diversi per significare la stessa cosa, chi usurpasse quelli indifferentemente dall’una e dall’altra, verrebbe a comporre una lingua di molte, non sarebbe generalmente inteso, renderebbe eterogenea la lingua fondamentale, e contribuirebbe piú presto alla corruzione di quella. Ciò sentirono i medesimi toscani, i quali, scrivendo, si