Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/330

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ridicoli a’ !or compagni meglio consigliati, e, se mai producono alcuna cosa, servono di trastullo alle persone e si assicurano le fischiate della posteritá. Questo gran numero di verseggiatori, adunque, è la cagione per cui da molte altronde savie persone viene in si piccol conto tenuta la poesia. Né meno cooperano a ciò molti, per altro valorosi, rimatori, i quali vengono ammirati bensí, ma non piacciono. Il poeta, come si può dedurre da quel che di sopra abbiamo detto della poesia, dee toccare e muovere; e, per ottener ciò, dee prima esser tòcco e mosso egli medesimo. Perciò non ognuno può esser poeta, come ognuno può esser medico o legista. Non a torto si dice che il poeta dee nascere. Egli dee aver sortito dalla natura una certa disposizione degli organi e un certo temperamento, che il renda abile a sentire in una maniera, allo stesso tempo forte e dilicata, le impressioni degli oggetti esteriori; imperocché come potrebbe diiicatamente o fortemente dipingerli ed imitarli chi per un certo modo grossolano ed ottuso le avesse ricevute? La poesia che consiste nel puro torno del pensiero, nella eleganza dell’espressione, nell’armonia del verso, è come un alto e reale palagio, che in noi desta la maraviglia, ma non ci penetra al cuore. Al contrario la poesia che tocca e muove, è un grazioso prospetto della campagna, che ci allaga e ci inonda di dolcezza il seno. Ora che dovremo dire della nostra presente poesia italiana? Infinite cose ci sarebbono a dire. Ma, percioché il tempo è venuto meno al buon volere, permettetemi ch’io rimetta ad altra occasione il discorrervene a lungo. Frattanto io spero che verrá a ragionarvi meglio di me, e di piú importanti cose che queste non sono, qualche altro degli accademici, cui l’esempio dell’abate Soresi e di me abbia rianimato a continovare un esercizio, che ci può essere nello stesso tempo utile e piacevole, quale è questo delle lezioni private: di maniera che, se noi non vi abbiamo giovato o dilettato col recitarvi le cose nostre, possiam lusingarci almeno di averlo fatto coll’eccitamento datovi, acciocché ogni mese almeno ci trattenghiate con qualche vostro lavoro.