Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/335

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della materia; e, quella non piú lavorando separatamente, come dianzi avean fatto, applicaronsi a compor fra due una sola persona. Quindi nacque che, secondo che contrarie fra sé erano le inclinazioni de’ due maestri, cosí contrarissima in un sol soggetto compariva la proporzion delle membra. Immaginatevi adunque di veder, per mo’ di dire, accademici, sopra lo imbusto d’un cazzatello sottilissimo e dispariscente uno smisurato capaccio, che agguagli di circonferenza una gran zucca frataia. Imaginatevi che l’uno de’ due spiriti fabbricasse un visaccio grande grande e largo largo stranamente, e che l’altro vi appiccasse nel mezzo un nasino diminutivo a mala pena visibile; o che quegli in iscambio piantasse, nel mezzo d’un visuzzo il piú smunto e scarnato che voi vedeste giammai, uno sperticato nasone, che possa seder patriarca di tutta la naseria, e con cui il mento concorra di ambizione e facciano a chi piú possa ingrandirsi. — Ma via, che non la fai tu oggimai finita cotesta filastrocca che non ha né capo né coda, e non riesce a nulla! — Cosí parmi che voi dichiate; ma egli è pur forza che voi ve la beiate, ch’essa è alquanto lunghetta, ed è la vera origine del popolo ch’io vidi, che mi fu cónta in quel paese da certi letterati, de’ quali, se il cielo darammi fiato insino alla fine, io ragionerò in appresso. Ma vedete a ogni modo quanto io son gentile, ch’io la voglio troncar sul piú bello per compiacervi; perché, a dirvi il vero, io non so piú dove io mi abbia il capo e non ci raccapezzo piú filo che mi conduca avanti. Ritorniamo adunque... a che? Ah ah! voi avevate creduto ch’io volessi dire «a bomba», che è una parola ch’entrar dee al manco una volta in ogni cicalata. Oh! io v’ho ben corbellati. Ritorniamo, io volea dire, alla piazza, ov’io stavami facendo le maggiori risa del mondo per que’ tanti ceffi tutti nuovi, tutti strani e tutti bizzarri, che mi circondavano; quand’ecco a me ne viene, tutto trafelato correndo, un omicciatto piccolo e largo alla foggia d’un tino, colle gambe per tal modo incrocicchiate, che il piede destro avea ceduto al manco la mano. Costui diemmisi bentosto a conoscere per un lacchè della corte, spedito a bella posta