Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/353

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tradita l’innocente gioventú, alia sua direzione affidata: cosí i miseri padri veggono tornar dalle scuole e da’ collegi i suoi figliuoli vuoti d’ogni verace sapere, e colla mente ingombra d’idee false e di stravaganti principi, secondo i quali regolandosi essi poscia, o rimangono affatto ignorami, o dannosi in preda ad inutili studi, dell’ignoranza medesima assai peggiori, perciocché piú dell’ignoranza nocevoli alle famiglie ed alle patrie loro. Io auguro bene della patria nostra, imperocché m’immagino che nessuno di questi soltanto curiosi ed ambiziosi maestri presieda a’ nostri studi ; anzi mi giova di lusingarmi che, siccome non sonosi mossi ad attender privatamente alle lettere per verun altro spirito fuorché per quello della caritá, cosí il facciano vie piú ogniqualvolta loro ne corra maggior obbligo, per lo esser eglino posti a guidare ed ammaestrare gli altri. Ma parmi ora di sentirmi rimproverar da qualcuno e dirmi cosi: — Or vuoi tu dunque, o novello dittatore e politico della letteratura, rovinare ad un tratto i maggiori stimoli che gli uomini abbiano avuto mai alla ricerca del sapere, cioè la curiositá e lo amor della gloria? — Ma io rispondo a questi troppo solleciti rimproveratori: — Non sono io cosí stolto che non conosca esser questi due de’ piú possenti motivi che accender possono negli uomini lo amor delle lettere. Io non pretendo perciò di spegnerli ; cessilo il cielo: desidero unicamente di ordinarli a buon fine, e, per ottener questo, dico esser necessaria negli uomini di lettere la caritá. Non intendo io di rintuzzare questa a noi cosi propria curiositá ispirataci dalla stessa natura; ma desidero che la caritá le sia invece di soave auriga, che la spinga o la freni, siccome piú torna in vantaggio della societá. Potrei ben io agevolmente mostrare la vanitá di quella gloria accidentale che i letterati cercano cosí avidamente; ma voglio ch’essi non perdano i gloriosi allori cresciuti per le loro fatiche, e bramo solo che la caritá ne intrecci le ghirlande e ch’ella di propria mano ne cinga loro la fronte. Voglio che la gloria sia un premio non della loro curiositá, a dir vero, ma della caritá loro. — Io mi lusingo che voi vi risovvenghiate, o signori, de’ vizi, onde noi abbiamo veduto di sopra non potere andare esenti gli