Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/52

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delle donne milanesi, vi siate cosí chiaro e limpidamente spiegato, che il piú semplice fanciullo possa comprendere voi non aver biasimate le donne piú nobili e civili, ma quelle solamente che sono della piú umile e della piú vile condizione. Credereste voi, collo avere cosí fatto, di aver operato del miglior senno del mondo, e di esservi con ciò liberato da ogni riprensione, che altri vi possa fare? Non siete voi letterato? Non siete voi cittadino? Non siete voi cristiano? Non siete voi religioso? Ora, perché vi debb’esser lecito di vilipendere, di biasimar, di beffare quella particolare specie di donne, la quale, comeché umile, indotta, impotente, pure si è non meno uomo di quel che voi siete? Le scienze vi debbon pure avere insegnato che tanto vale l’uno quanto l’aítr’uomo; gli obblighi del cittadino debbono avervi ammaestrato a non far veruna distinzione tra i vostri compatriota, quando questi, ciascuno per la sua via, tendono alla comune felicitá; la caritá del cristiano a portare e mostrare anche nelle menome cose amore indistintamente ed universalmente a tutti quanti i prossimi vostri; e l’osservanza religiosa per fine a perfezionare in voi tutte queste virtú, che debbono esser proprie del letterato, del cittadino e del cristiano. Ecco le riprensioni, che vi si potrebbero fare, se voi vi burlaste delle povere femminelle milanesi contra i doveri del cittadino e contra il precetto, il qual dice: «Merita pena colui che chiama il suo fratello pazzo o carogna». Ed ecco le ragioni per le quali io non mi persuaderò mai che voi parliate da senno, allorché nel vostro secondo dialogo dite di avere unicamente biasimato le femmine piú basse della nostra cittá: anzi mi rendo certo che, per non esser notato di adulazione o di viltá o di parziale riguardo, avete parlato in generale di tutte le milanesi, non certamente per malizia, ma per un’inavvertenza, nella quale vi ha lasciato incorrere il cielo per cimento della vostra moderazione. Ma usciamo una volta, come si suol dire, della sagrestia, perciocché nella morale voi potete esser molto miglior maestro che io non sono; e passiamo ad altre imputazioni fatte al vostro libro, e dalle quali pretendete difendervi in questo secondo dialogo.