Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/55

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non aver mai pensato a parlare di essa nel primo dialogo, come voi dite che da alcuni vi sia stato imputato. Io non vo’ giá trattenermi a ragionare sopra di ciò, perché a me non sembra dicevole cosa implicare e avventurare nelle altrui dispute e quistioni verun pubblico corpo, che, di qualsivoglia ordiné si sia, merita sempre rispetto e una certa dilicatezza in tutto ciò che lo riguarda; massimamente se prima non è stato richiesto o non sonosi udite le sue dichiarazioni. Per altro a me non è mai caduto in pensiere, né credo che sará mai caduto a veruna sensata persona, che voi abbiate voluto in quel primo vostro dialogo né pur celatamente riprendere l’accademia de’ Trasformati ; imperciocché com’è possibile che la vostra moderazione e la vostra prudenza non vi avessero per mille ragioni dissuaso dal farlo? E tanto piú mi confermo nel credervi di ciò innocente, quanto che la stessa accademia non si è mai, per quel ch’io sappia, doluta punto di quel vostro dialogo, e molto meno dichiarata contro di voi. Io mi rallegro nondimeno con esso voi, il quale, mostrando si grande premura di giustificarvi presso la milanese accademia, avete nello stesso tempo dato prova del grande conto che voi ne fate, la qual cosa è un indicio assai certo dello amore che voi avete per le lettere e della stima che voi fate di que’ corpi, che furono istituiti per sostenerle. Vorrei che voi poteste cosi comparire affatto innocente anche per le altre accuse, che si fanno contro di voi, come io mi tengo per fermo che voi siete innocente di questa, che l’accademia riguarda. Venghiamo ora a que’ due capi, che ci siamo proposti d’esaminare; e appigliamoci al primo, cioè a vedere se vero sia che voi non abbiate nel primo dialogo, senza restrizione veruna e in termini generali, parlato della lingua milanese, come voi protestate nel secondo. Voi dunque, per cominciare da ciò che poneste nel primo dialogo contro alla lingua milanese b), faceste dire a quel villanelle di Toscana guardiano delle oche dover essere la nostra lingua d’oca, imperciocché, al parlare del giovinetto vostro interlocutore, poneansi le oche del villano a stridere. (t) D. I, p. 8.