Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/85

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pagina 3 «una delle piú splendide e gloriose e letterate metropoli del mondo», e a pagina 9 «glorioso albergo e sede augusta di ogni virtú, di ogni lode, di ogni bel costume, di tutte le nobili arti»; e si lusinga che il padre proseguirá di bene in meglio anche nell’altr’opera ch’ei promette: la qual cosa se il Parini potrá ottenere, terrassi abbastanza contento, quand’anche questo dovesse esser l’unico frutto per lui ricavato dalla sua operetta. IV. Dichiara al pubblico non esser egli stato eletto, né comandato a scrivere la sua operetta «da alcun ordine della cittá, anzi neppure da un bidello, da un tavolaccino, da un mazziere di alcun magistrato, né da’ ramarri delle compagnie e confraternite nostre», essendo verissimo che la sua patria, come il padre asserisce (pagina 3), avrebbe scelto in propria difesa avvocato, che con maggior efficacia e con piú viva e forte maniera di dire la difendesse. Non per tanto egli è voluto insorgere a difendere la patria centra i due Dialoghi del padre Branda, anche non interpellato né pregato, credendo che gli fosse lecito il farlo, imperciocché, trattandosi di un’azione popolare, o di un giudizio pubblico, come dice il padre, (pagina 3), è permesso a chiunque del popolo il promoverla, parlando o scrivendo, come al Parini è stato detto che insegna Paolo giureconsulto nelle leggi 1 e 4, Digesto, De popularibus actionibus , e nella legge 43, \ 2, Digesto, De procuratoribus et defensoribus. Per altro il prete Giuseppe Parini milanese priega il lettore di riflettere ch’egli, scrivendo la sua operetta, ha inteso di dare alla patria un testimonio del proprio cuore, non giá di alcuna dottrina, della quale confessa essere del tutto sfornito, come il padre Branda medesimo va ottimamente dicendo e replicando nel detto suo ultimo Discorso.