Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/97

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trarre dagli esempi, che il suo maestro loro propone nelle sue opere? Certo non altre che queste: — Dunque io ristringerò o allargherò, interpretando le altrui proposizioni, secondo che alla mia causa tornerá meglio; — Dunque io asserirò costantemente le cose, benché contra il fatto, per abusarmi della semplicitá di chi crede sopra la mia asserzione; — e cosí andate voi discorrendo. Io non pretendo giá con questi e simili altri discorsi inseriti nella mia prima operetta al padre Branda indirizzata, io non pretendo giá, com’ei dice, «di condurlo ad apprendere da me la maniera di pensare, il metodo di scrivere, la dirittura di ragionare, l’arte d’insegnare». Io so ch’egli è professore delle umane lettere nelle pubbliche scuole d’una cospicua cittá, e che per conseguenza egli è obbligato dalla sua carica a saper tutto questo. Pretendo unicamente di avvertirlo che nella presente occorrenza potrebbe sembrare ch’egli si dimenticasse del debito suo, e non operasse con quella sinceritá, ch’io son certo ch’egli ha ben fissa e radicata nell’animo, e ch’egli procura di usare in ogni altra occasione. Se il padre Branda non iscrivesse cosí frettolosamente quanto di sopra vi ho detto ch’ei fa, non solamente non sarebbe soggetto a simili equivoci, ma neanche cadrebbe in certe argomentazioni, che potrebbono chiamarsi, com’egli, senza altrimenti provarlo, chiama le mie, «secche e frivole e dissipite». Eccovene una prova in questa maniera d’argomentare, ch’ei tiene alla pagina 2. Dic’egli che, «passando la cosa tra uno scolaro, che libero ufficio di dottore assunse, cd un maestro, ch’ei prende ad ammaestrare, non sa a qual fine riuscirá la faccenda; imperocché, dovendo egli ad ogni modo sostenere l’autoritá di maestro con me, che pretendo di avere senno da vendere altrui e da soperchiarne i dottori, ei non potrá parlarmi con quella sommissione e riverenza che userebbe nel rispondermi, se avessi celato il titolo di scolare, che a me fa poco onore, ed a lui dee dare qualche sicurtá nel proferire i suoi sentimenti». Voi vedete, amico carissimo, che qui primamente è falso il supposto che la cosa debba ora passare, com’ei dice, tra lo