Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. II, 1915 – BEIC 1892399.djvu/111

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non senza sorridere e mirar voluttuosamente la sposa. Fra mezzo ai due sposi stará in piedi il giovanetto Imeneo, sospendendo sui loro capi una corona di rose e di gigli, mescolata di stelle, simbolo della immortalitá, e tenendo nell’altra mano la fiaccola delle rose, fiammeggiante. La figura dell’Èrcole verrá alleggerita da una quantitá di luce maggiore, onde risplenderá tutto il corpo; inoltre, senza offendere il carattere di robustezza, comparirá gentile e ringiovanita cosi nei tratti come nell’ondeggiamento della musculatura. In tal guisa significherassi l’effetto della divinitá, a lui recentemente compartita. La figura dell’Ebe poi sará sparsa di tutta la freschezza e di tutto il rosato della prima giovinezza femminile. Ai piedi d’Èrcole giaceranno negligentemente sulle nuvole, o in vago e proporzionato modo saranno portate o sostenute da geni, la clava e la spoglia del lione, amendue folgoreggianti di stelle. Potrebbesi ancora, per maggior compimento e ricchezza della invenzione, accennare, nella piú alta parte del cielo, Giunone, la quale mostri di compiacersi della felicitá dei due sposi. In tal caso, dalla destra poppa di questa dea partirá una striscia di latte, la quale, di mano in mano scendendo, formerá la via lattea, che, tutta seminata di minutissime stelle, taglierá vagamente il cielo. Ciò significherá il modo con cui Ercole ottenne la divinitá, cioè poppando alla mammella di Giunone. Quando ciò non si faccia, converrá ad ogni modo far rompere in somigliante guisa il cielo dalla sola via lattea, per significar nello stesso tempo ciò che si è detto e la strada per cui gli eroi salgono a vivere fra gli dèi. In tutta questa composizione abbonderá, quanto è possibile, la leggerezza, la vivacitá e il gioco della luce. PER LA STANZA DELL’ÈRCOLE DIVINIZZATO Quattro piccioli scudi. La virtú piú propria de’privati è di essere utili agl’individui; quella de’ principi e degli eroi è di essere utili in generale alle nazioni intere. Tale fu quella che meritò ad Ercole l’immortalitá.