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38 x - dialogo sopra la nobiltà


loro vassalli. Ora intendi quanto grandi e quanto venerabili omaccioni fosser costoro, de’ quali tenghiamo tuttavia i ritratti appesi nelle nostre sale.

Poeta. Or bene, io farovvi adunque quell’onore che fassi agli usurpatori, agli sgherri, a masnadieri, a’ violatori, a’ sicari, dappoiché cotesti vostri maggiori, de’ quali m’avete parlato, furono per lo appunto tali, se io ho a stare a detta di voi; sebbene io mi credo che voi ne abbiate avuti de’ savi, de’ giusti, degli umani, de’ forti, de’ magnanimi, de’ quali non sono registrate la gesta nelle vostre genealogie, perché appunto tali si furono e perché le vere virtú non amano d’andare in volta a processione.

Nobile. Che vuoi tu ch’io ti dica? Di mano in mano che tu avanzi col discorso, mi sento come cader dagli occhi dello spirito certa caligine, e vo scoprendo certe cose, delle quali non m’era giammai accorto tra’ vivi. Contuttociò mi negherai tu che non mi si debba portar riverenza, almeno in grazia di quegli antenati savi, giusti, umani, forti e magnanimi, che dianzi tu stesso m’hai conceduti?

Poeta. Cotesto non vi negherò giá io; ma a patto che siemi anco lecito di strapazzarvi e di vituperarvi in grazia di que’ vostri antichi, che voi accennaste poc’anzi, o d’altri, i quali, secondo che a me costerá per la tradizione o per le storie, abbian commesso ladronecci, omicidii, violenze, tradimenti e simili altre ribalderie, delle quali poche o forse ninna famiglia può vantarsi immacolata, benché ognuno s’aiuti, come piú può, di coprir le sue sporcizie, come fa il gatto. Non vi sembra egli giusto che, se voi volete aver parte nella gloria dovuta a’ vostri ascendenti, voi l’abbiate pure nell’infamia, che loro si conviene, a quella guisa appunto che chi adisce ad un’ereditá, assume con essa il carico de’debiti, che annessi le sono?

Nobile. No certo, ché cotesto non mi parrebbe né convenevole né giusto.

Poeta. E perché ciò?

Nobile. Perché io non sono per verun modo tenuto a rispondere delle azioni altrui.