Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti.pdf/122

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giosi, perchè nel consorzio claustrale il vecchio è assistito senza spesa, e ii mantenimento delie case di monache non riesce più costoso che quello dei conventi di frati. Il sistema che si propone potrebbe avere tanto maggiori vantaggi economici e morali mercè il concentramento dei religiosi di uno stesso ordine in ininor numero di chiostri. Con ciò la detta minoranza deii’ufficio non intenderebbe costringere nessuno a stare per forza nella vita monastica. Certamente non si vorrebbe impiegato il braccio secolare a trattenervi chicchessia contro la sua vocazione, tna nessun assegnamento verrebbe fatto a ehi, abbandonando il convento, perde naturalmente ogni titolo verso di esso o di chi lo rappresenta per essere albergato ed alimentato. In ordine ai beni degli enti morali soppressi ritengono i suddetti commissari che per effetto della soppressione essi divengano vacanti, e perciò lo Stato ne acquisti la disponibilità secondo le massime serbate dai nostri magistrati, ma coìi’obbligo morale di riservarli ad usi ecclesiastici e pii, obbligo a cui ottimamente si adempirebbe applicandoli al sostentamento dei parroci. Si vorrebbe quindi che fosse assolutamente esclusa ogni idea ed apparenza di lucro pel fisco, e perciò che i beni si destinassero immediatamente alla cassa ecclesiastica, la quale si costituisse in foggia più indipendente, imitandosi, per esempio, la cassa di deposito. -1 predetti commissari sono avversi ad ogni pensiero di spogliare la Chiesa, avversi ad ogni misura che violi anche indiret'amsnte le disposizioni delio Statuto, ma il loro voto lascia integro l’asse ecclesiastico e non offende la lettera nè lo spirito della nostra legge foudamentate. Tengono ancor essi per certo che lo Statuto, dichiarando inviolabili tutte le proprietà senza eccezione, contemplò tutte quelle enumerate nel Codice civile, e così il patrimonio degli enti morali al pari dei patrimoni privati. Ma lo Statuto non tolse a! potere legislativo il diritto inerente aita sovranità di sopprimere enti morali per degne e sufficienti cause, nè impedisce te legittime conseguenze della soppressione. Se fossero adottate dal Senato ie idee della minoranza, ne conseguirebbe la necessità di rivedere la redazione del progetto per metterla in armonia con iati modificazioni. La stessa minoranza vedrebbe in tal caso scemati in parte i motivi che possono aver dettato l’articolo S, e poiché non parrebbe d’altronde necessaria la delegazione che ivi si fa al potere esecutivo senza limite di durata nè di sostanza, essa minoranza avviserebbe di oaimetterlo. 1 commissari che cosi opinano deplorano non meno che i loro coi leghi la divisione degli animi e l’agitazione del paese. Ma sono appunto persuasi che i! mezzo migliore d’impedirne l’accrescimento e di ricondurre la calma da tutti desiderata sia di fare per tempo quei provvedimenti che in sè preselitansi ragionevoli, e possono perciò essere adottati con vantaggio delia cosa pubblica, senza debolezza verso alcun partito. Finalmente il quinto commissario si univa ai due primi opinanti per respingere il progetto di legge nella parte che contiene determinazioni abolitive, o dispone della proprietà di beni ecclesiastici, e per l’opposto si dichiarava propenso a dare ii suo voto in favore di quella parte della legge che stabilisce il concorso degli enti morali ecclesiastici al pagamento delle congrue parrocchiali. Egli non ammette che sì possa dallo Stato, pel solo motivo di scemata utilità, spogliare unente morale delia personalità che gli fu conceduta, dopoché, fidando in questa concessione, si procacciò i mezzi di costituirsi e di sussistere, e soddisfece anche con gravi sacrifizi a tutte le obbligazioni clic lè leggi eiyii gli imposero. Questo commissario crede che l’apprezzamento della maggiore o minore utilità appartenga liberamente alla potestà civile, allorché si tratta di dare o di negare la personalità giuridica ; ma quando invece si tratta di rivoearne la concessione, di annullare con essa molti fatti che mercè di lei si compirono, e di recare gravi danni e disagi a persone che giustamente confidarono nel costante favore delie leggi, egli crede che siano necessari molivi di gran lunga più gravi, motivi che non si può mio trovare se non in provato demerito degli enti che si vogliono colpire, allorché la. privazione dei diritti civili di cui godono non è comandata da vera ineluttabile necessità di generale e pubblico interesse. Il concorso di questi motivi nel caso nostro non fu dimostrato e non esiste certamente, secondo l’intimo convincimento dell’opinante, il quale è per l’opposto persuaso che riguardo agli enti morali di cui si tratta, e principalmente riguardo alle comunità religiose femminili, le quali maggiormente e in maggior numero soffrirebbero, la condizione loro presente non è diversa da quella in cui si trovavano nel momento della loro ammissione e durante il tempo in cui goderono dei diritti ìoro conceduti dalle leggi dello Stato. Fer le quali considerazioni egli non potrebbe consentire nè ad una abolizione che avesse effetto immediatamente, né à quella che ponesse le corporazioni religiose in uno stato di lenta estinzione per alcuni versi più funesta deiì'assoluta abolizione, senza somministrare quel pronto ed efficace sussidio di cui si abbisogna. Simite proposta di abolizione da compiersi in lungo tratto di tempo, mentre si mostra suggerita da sentimenti di equità e di giustizia, a cui., nessun membro dell’ufficio vorrebbe contraddire, esclude evidentemente l’esistenza di quei gravi ed urgenti motivi che l’opinante reputa indispensabili per qualunque abolizione anche ristretta e temperata, Respinta nell’attuale stato di cose ogni maniera di abolizione, questo commissario stimava inutile di esaminare quali diritti competano alio Stato sulla proprietà dei beni appartenenti agli enti morali ecclesiastici. Il nostro Codice civile e l’articolo 29 dello Statuto dispongono in modo che nulla lascia da aggiungere a ciò che egregiamente si disse dai primi opinanti e soltanto per ìa relazione che questa seconda que-, siione potrebbe avere con quella delì’abolizione, egli non esita a dichiarare che l’animo suo rifugge invincibilmente da consentire ad un’abolizione non meritata e non necessaria, la quale si presenti come mezzo di liberare da una spesa il pubblico erario, e di provvedere ad altri bisogni anche esclusivamente religiosi. Ma dopo questa prima e principale conclusione lo stesso commissario soggiungeva che se veramente non si hanno motivi bastevoli a persuadere in favore dell’abolizione, sommi ed importanti sono queili che impongono di provvedere, anche in modo eccezionale e temporaneo, affinchè siano ai parroci continuate le congrue assai modiche, di cui finora goderono, senza che il ioro pagamento debba pesare sul bilancio dello Stato, posto, eom’è presentemente e come sarà per lungo tempo, in condizione affatto diversa da quella che gli permetteva di sopperire a questa spesa. L’onorevole guardasigilli nella sua relazione al Senato dichiarava che le finanze delio Stato non altro benefizio verranno a conseguire in virtù di questa legge ebe quello di essere esonerate dal peso di concorrere ai mantenimento dei parroci. Ma questo beneficio, che sembra essere stato potente stimolo alia presentazione di questa, legge, e, se si vuole, anche quello dal ministro accennato, dì far concorrere gli istituti religiosi più abbondanti di rendite a sostegno di quelli