Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti I.pdf/335

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«Frumento, mistura (miscuglio di frumento, segala e vec- cia), meliga, segala, riso, risone, fave, favini, fagiuoli, ceci, farro, formentone, lenticchie, lupini, miglio, piselli, spelta, veccia, cereali e legumi infranti e britlati, castagne, farine di cereali, di castagne, di ]egnmi, fecola di mapnioc, di pomi di terra, pane, biscotti di mare, semola, paste di frumento, cru- sca e residui di macinazione di cereali.»

In questo articole sta la sostanza della legge: dopo le 0s- servazioni che giá abbiamo avuto l’onore di esporre, due sole

‘ce ne rimangono da agginngere: la prima rispetto ai diritti differenziali che si dichiarano aboliti ; la seconda rispetto alla esclusione della avena dal novero dei grani che si esimono da ogni dazio.

Abolendosi generalmente i dazi di importazione, di espar- tazione e di ostellaggio, può sembrare inutile la menzione dei diritti differenziali; poichè iá dove non è dazio di sorta, non può essere differenza di dazio. Tattavia questa menzione di diritti differenziali non potendo recar danno, e sussistendo tuttavia, sebben pochissimi, pure alcuni di questi diritti verso nazioni con le quali non siano stati per convenzione espressa aboliti, l’ufficio è di avviso che possa mantenersi la compila- zione quale essa è ; si potrá scorgere in essa una nuova san- zione data al principio della perfetta paritá delle bandiere estere con la nazionale, principio al quale il Governo britan- nico ha fatto testè un novello omaggio col proporre al Par- lamento di ammettere i navigli stranieri a partecipare con la marineria nazionale nel cabottaggio lungo le coste del regno unito.

Men facile ci sembra il giustificare la esclusione dell’avena, che è per un cereale, dal benefizio dell’esenzione conceduta a’ suoi congeneri e ad alcune sostanze che, come la fecola di manice, von entrano certamente per nulla nell’alimentazione del popolo.

in una legge che ba per iscopo di sgravare il commercio dai dazi che ns scemano la libertá, meritava certamente di essere compresa avena, impiegata quasi esclasivamente pel

, nadrimento degli animali dai quali si opera la quasi totalitá dei trasporti per via di terra. Poichè, se si mettesse a con- fronto le quantitá di avena consumata dai cavalli di lusso e quella che serve ai cavalli di vettura e di carretta, la se- conda si troverebbe certamente di gran lunga superiore alla prima. S’aggiunge che in alcuni luoghi del Piemonte in tempo di scarsitá l’avena vien pure usata come alimento dagli uo- mini; s’aggiunge finalmente che per la riscossione di un dazio all’entrata dell’avena, facendosi rincarare non solo quella che s’introduce di fuori, ma ben anche quella che si produce all’interno, lo Stato, che per servizio deila cavalle- ria compra una quantitá di avena di molto superiore a quella sulla quale esso riscuote il dazio, viene a provarne danno anzichè beneficio; ed è almen singolare il mantenere una im- posta pagata non dai cittadini allo Stato, ma dallo Stato gd una classe di cittadini, voglio dire si produttori di avena. Ad ogni modo l’importanza di questa osservazione è grande- mente scemata dalla piccolezza del dazio (25 centesimi per ettolitro) e dalla poca quantitá sia dell’avena che si importa (nel decennio 1841-54 questa è stata di 10,450 quintali al- l’anno, termine medio), sia di quella che si consuura da’ ca- valii dell’esercito.

L’ufficio quindi se ne rimette in {ulto su questo punto al giudizio del Senato.

«Art. 3. È vietato ai. comuni d’imporre verun dazio di consumo 0 di macina sui generi anzidetti,»

Qui sorgono alcune questioni: è stato detto che la esi- stenza di siffatti dazi in alcuni comuni dello Stato, in altri

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no, tra un’infrazione al principio della eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge principio dal quale tutta la no- stra legislazione si informa. Noi non pensiamo che a suffra- gare la dispesizione proposta possa valere il principio di eguaglianza fra gli abitanti di diversi comuni; cittadini di tutto lo Stato contribuiscono egualmente cioè in ragione delle loro sostanze nel soddisfare ai carichi dello Stato: tutti i cit- tadini di ciascheduna divisione, provincia, o comune, deb- bono sopportare egralmente in ragione delle loro sostanze i carichi della divisione, della provincia, del comune. Ma da ciò che i carichi locali non sono gli stessi in qualitá ed in misora nelle diverse parti dello Stato, male se ne vorrebbe inferire che la legge non è eguale per tutti: tanto farebbe il sostenere che è violata l’eguagiianza dinanzi alla legge, dal non essere tutti i cittadini egualmente ricchi, od egualmente robusti. Vi sarebbe certamente diseguaglianza se lo Stato imponesse in alcuni comuni un diritto di consumo sui ce- reali, in altri no; ma quando i comuni impongono i propri abitanti per sevvenire ai propri bisogni, la eguaglianza sta nell’avere tutti i comuni ia medesima facoltá, non giá nell’u- sarne tutti allo stesso modo (1).

Meglio assai che dal principio di eguaglianza si può deri- vare il divieto espresso in questo articolo dalla opportunitá di impedire che il frutto del saerifizio che lo Stato copsente, rinunziando alla riscossione di ogni diritto sulla immissione dei cereali, venga scemaito 0 distrutto dalla imposizione di dazi equivalenti e maggiori, fatta in pro dei comuni.

Ma lo Stato ha esso questo diritto di vietare generalmente ai municipi questa o quella entrata? Fuvvi chi volle deri- vare questo diritto da un preteso principio per cui alio Stato solo debba appartenere il privilegio di imporre gravezza ai cittadini: onde i comuni non parteciperebbero in questo pri- vilegio che in virtú di una delegazione fatta in loro favore dallo Stato: principio che non ci sembra potersi ammettere in tesi generale. Poiché essendo manifesto che il comune è una associzzione avente vita propria, anteriore a quella dello Stato, e da essa indipendente, non si può per niun modo ne- gare al comune il diritto di imporre a tutti i suoi abitanti quelle gravezze che sieno assolutamente necessarie ad otte- nere quei vantaggi, in grazia dei quali il comune stesso si è raccolto e costituito.

Bensí ci sembra certo che il comune medesimo, facendo parte di una associazione piú ampia, che è lo Stato, i’eser= cizio del diri!to di impor balzelli comunali dev’essere rego= lato in guisa che non possa nuocere al bene comune dello Stato, nè essere contrario ai principii dal legislature accet- tati come basi del dritto pubblico interno, Onde conceludiamo sussistere nello Stato veramente il diritto di vietare ai cos muni questo o quel dazio, non solo quando questi sieno con- trari alla morale, ma anene quando possano in alcun modo trovarsi in opposizione con le leggi generali dello Stato, Bensí dovrá questo usare molto parcamente il suo diritto, poichè i comuni si troverebbero singolarmente angustiati nelle loro economiche condizioni, se il divieto si estendesse, da una parte sopra molti prodetti (quali giá sono le derrate coloniali e i metalli), perché sovr’essi lo Stato si riserva solo il privilegio di tassarli, e dalP’altra auccra su molti altri pro- dotti (quali ora divengong i cereali), perchè sopra di questi lo Stato rinanzia a riscuotere per conto proprio verun dazio.

(1) Nel derivare dal principio di eguaglianza l’abolizione dei dazi di consumo sui cereali, si è forse voluto dire, che questi, cadendo sopra generi di prima necessitá pesa piú sui meno agiati: la quale osservazione è certamente fondata.