Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti I.pdf/409

Da Wikisource.

progetto del Ministero nella parte in cui attribuiva. facoltá al primo presidente della Corte di appello di deputare uno dei consiglieri per intervenire alle Assisie convocate nella cittá ove siede essa Corte, e ciò all’effetto di supplire alla mancanza che fosse per accadere, nel corso del dibattimento, di alcuno dei giudici. Come nelle altre cosí nella detta cittá il presidente delle Assisie potrá richiedere per tale fine uno dei giudici del tribunale della provincia. Hanno parimente fatto emendare l’articolo 12, tegliendo sempre la diversitá di trattamento e l’arbitrio.

Ragioni speciali hanno invece consigliato di mantenere la facoltá nel primo presidente di deputare uno dei membri della Corte d’appello per surrogare il presidente della Corte d’assisie nel caso di costui assenza od impedimento, richie- dendosi capacitá non comune a bene dirigere il procedi- mento nel sistema del giurí.

Un giudice che non sia istruttore può essere incaricato d’istrurre un processo nelcaso di assenza o di impedimento dei titolare. Quindi fu esteso ad esso il divieto di far parte della Corte d’assisie, usando nell’articolo 13 la parola gene- rale di giudice a vece di giudice-istrullore.

In coerenza degli emendamenti fatti negli articoli 4, 5, 6, 10 e 12 del progetto ministeriale, si è tolto l’alinea dell’ar- ticolo 24 che accordava facoltá alla sezione di accusa di or- dinare, secondo le circostanze, il rinvio degli imputati alla Corte d’assisie da convocarsi nella cittá ove siede la Corte di appello, anzichè a quella che sarebbe stata competente in via ordinaria, e di sottrarre cosí essi imputati ai loro giudici naturali. Fu inoltre menzionata nella prima parte di tale ar- ticolo la legge del 23 giugno 1854, Ja quale arrecò innova- zioni al Codice di procedura criminale intorno alla compe- tenza.

È nota la legge francese del 28 aprile 1833 sulle circo- stanze attenuanti. L’antica legislazione della Francia aveva affidato generalmente all’arbitrio del giudice la distribuzione delle pene. L’Assemblea costituente surrogò nel Codice del 1791 le prescrizioni della legge all’arbitrio del giudice, ma, come avviene sempre nelle reazioni, spinse le cose all’ec- cesso opposto. Invece di prescrivere limiti savi e ragionati alla facoltá di graduare le pene giusta le circostanze dei reati, stabilí per tutti pene uniformi ed invariabili. Gli inconve- nienti pel-nuovo sistema non tardarono a palesarsi, poichè ogni azione può subire mille modificazioni, e presentarsi sotto mille aspetti mutando continuamente di carattere. Quindi l’eguaglianza assoluta delle pene produce nel fatto le piú odiose disuguaglianze. L’articolo 646 del Codice del 3 di brumaio anno 4°, Ja legge del 25 frimaio anno 8° e quella del 7 piovoso anno 9°, mostrarono Îa tendenza dei legisla- tori di quella nazione ad attribuire ai giudici qualche latitu- dine nell’applicazione delle pene; e coll’articolo 463 del Co- dice penale del 1810 furono autorizzati i tribunali correzio- nali a ridurre il carcere anche a meno di sei giorni, e Pam- menda anche a meno di sedici lire, non che a pronunziare tali pene separalamente, ogniqualvolta il danno non ecce- desse lire 25 e le circostanze del reato comparissero at- tenuanti. A principio si era divisato di estendere ai crimini cotale facoltá, ma questo pensiero fu poi abbandonato per non autorizzare il giudice a mutare la qualitá della pena, nè a discendere dal grado stabilito dalla legge ad un grado in- feriore, ravvisando in ciò una commutazione riservata in via di grazia al capo dello Stato, anzichè una semplice riduzione di pena (1). Vi fu però chi attribuí con piú ragione un tale

(1) Vedasi Locré, t. 31, pag. 164.

risultamento alla diffidenza che in quei tempi inspirava il giurí in alcuni dei legislatori della Francia, che nel seno del Consiglio di Stato ne avevano combattuto la conservazione (1). Colla legge del 25 giugno 1824 si fece un passo di piú, essendosi autorizzate le Corti d’assisie, non però il giurí, di ridurre per certi crimini le pene pronunziate dal Codice pe- nale, quando esistevano circostanze attenuanti, La legge del 28 aprile 1832 recò una riforma piú larga e piú compiuta, temperando con una regola generale le penalitá del Codice troppo rigorose e talvolta eccessive, e facendo tener conto di alcune circostanze del fatto e di alcune graduazioni nelle colpabilitá, nen previste da esso Codice, le quali dovevano essere calcolate nell’apprezzamento della moralitá dell’a- gente, affinchè il castigo fosse giusto e proporzionatd. Nelle materie correzionali e di polizia il giudizio di tali circostanze e gradazioni venne affidato al tribunale correzionale o di po- lizia, come quello che adempiva ad un tempo alle funzioni di giurí e di giudice; per contro nelle criminali fu affidato al solo giurí l’incarico di riconoscere e dichiarare la loro e- sistenza. E perchè tale dichiarazione producesse il suo ef- fetto, la legge stabilí in regola generale che in tale caso la pena di morte sarebbe scambiata coi lavori forzati, e in certi casi colla deportazione 0 detenzione; la pena dei lavori for- zati a vita coi lavori forzati a tempo 90 colla reclusiene; la deportazione colla detenzione o col bando, e via discorrendo.

Ordinò finalinente che il presidente delle Assisie, formolate

le quistioni sui fatti imputati e sulle circostanze aggravanti, avvertisse i giurati che, esistendo a loro giudizio circostanze attenuanti, dovevano farne dichiarazione. Questa riforma fu- un vero ripiego onde correggere prontamente gli eccessivi ri- gori del Codice penale senza sottoporlo ad una completa e non facile revisione. «Il fallait, disse il guardasigilli, trouver un moyen d’étendre á toutes les matières la possibilité d’adoucir Jes rigueurs de Ja loi autrement que par une minulieuse ré- vision des muindres détails. Le système des circonstances atténuantes (aggiunse il signor Dumon nel suo rapporto alla Camera dei deputati) sert á éluder de très-graves difficultés qui se présentert dans la législation criminelle ; il résoudra, dans la pratique, les plus -fortes objections contre la peine de mort, contre la théorie de la récidive, de la complicité, de la tentative. Qu’importe, en effet, que la peine de mort soit une peine égale pour tous, et qui ne peut par consé- quent s’appliquer avee équité á des crimes souvent inégaux, si l’admission des circonstances atténuantes permet d’écarter la peine de mort dans les cas les plus favorables? Qu’importe que la récidive ne procède pas toujours d’un progrès d’immo- ralité, et par conséquent ne mérite pas toujours une aggra- vation de peine, si dans les cas privilégiés, l’admission des «irconstances atténnantes écarte cette aggravation? Qu’im- porte quela complicité, si diverse dans ses formes et dans sa criminalitá, ne puisse étre toujours équitablement assi. milée au crime principal, si l’admission des circonstances atténuantes rétablit les différences que l’assimilation géné- rale de complice á l’auteur du crime a négligées ?Qu’importe, enfin, que la loi égale dans tous les cas la tentative è l’exé- cution, quoique dans l’opinion commune Ja gravité d’un crime se mesure en partie aux résultats qu’il a produits, si l’admission des circonstances atténuantes permet au jury de tenir compte è l’accusé du bonheur qu’il a eu de ne pouvoir commettre son crime ? Qu’on y pense bien, toutes ces que- stions si ardues, si controversées, dans l’examen desquelles

(1) Vedasi CoLrarp, Du système des circonstances attinuantes, pag. 22.