Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti I.pdf/488

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od all’estero, nè la stampa altra volta non incriminata del discorso o dello scritto.

Vedete chiaro che l’articolo non portava disposizioni nuove; ma il suo ufficio era quest’esso, di ricordare pie- tosamente ai ministri del culto una disposizione di diritto comune.

L’articolo non ammetteva, neppure tacitamente, che gli ordini del superiore, o le altre circostanze ivi indicate, aves- sero virtú di togliere la imputabilitá dei vietati discorsi, ossia di giustificare lo imputato. Esso enunciava semplicemente che i figurati ordini, o le altre circostanze ivi indicate, non varranno di scusa al colpevole. Con altre parole: i’articolo riconfermava essere punibile il discorso anche posti quegli or- dini, anche in quelle determinate circostanze; riconfermava che quegli ordini o quelle circostanze non erano al ministro scusa valevole, cioè (in linguaggio legale) non erano ricono- sciute come circostanze attenuanti.

Cancellate quell’avveriimento, resta il diritto comune, Si può egli per comune legge sottrarsi ai castighi minacciati contra un delitto, perchè un’autoritá, per quantunque rispet- tabile, avrebbe comandato l’atto delittuoso? No, del certo. Adunque, con tulfa la soppressione di quella benigna avver- tenza, rimarrá ir sodo, finchè non si stacchino i cardini d’o- gni legislazione, che un privato od un’autoritá estragoverna- tiva non può scusare il suo subordinato dal rispettare le leggi che reggono il paese di cui questi è cittadino ; e piú partico- larmente che gli ordini accennati nel soppresso articolo non attenuano la imputabilitá delle infrazioni contemplate negli articoli 2, 5 e 4.

Invero, la nostra legislazione penale non ammette che due specie o classi propriamente di scuse ossia di circostanze at- tenuanti : 0 circostanze attenuanti specificamente determi- nate dalla legge, quali sono, per esempio, la etá minore (arti- colo 94, 98, 96), la provocazione (articolo 605, 610), la pic- colezza del danno (articolo 727); o circostanze attenuanti rimesse per la loro valutazione in genere all’arbitrio dei ma- gistrati nei casi contemplati dall’articolo 729.

Ora l’articolo 729 si occupa dei soli reati contro le persone 0 la proprietá; epperciò non potrebbe estendersene il bene- ficio ai reati contro la quiete e la sicurezza pubblica. Ma noi versiamo appunto in tesi di reati contro l’ordine pubblico : chè tale è la natura dei reati cui le presenti modificazioni al Codice penale sono chiamate a comprimere; e per reati con- tro l’ordine pubblico ebbero a considerarli i legislatori di Francia quando li definirono nel capitolo 3 intitolato: Crî= mes contre la paix publique, alla sezione terza sotto la ru- brica : des troubles apportés è l’ordre public par les mi- nistres des cultes dans l’excercice de leur ministère.

Rimane pertanto manifesto che gli ordini o le altre circo- stanze indicate nell’articolo 8 non potranno essere invocate come attenuanti, tuttochéè l’articolo sia tolto dall’odierno progetto; non potranno essere invocate come attenuanti sino a che una singolare disposizione di legge non leammetta a fungere cotale ufficio.

Arroge che dei motivi strettamente logici, in armonia colla nostra legislazione penale, ci stringono a ricusare per attenuanti gli ordini o le altre circostanze alle quali accen- nava quell’articolo 3.

Parlando infatti della scusa che frar si volesse dall’essere stato stampato, e non poi incriminato, un discorso identico o simile a quello contro il quale il pubblico Ministero proce desse a senso degli articoli 2, 3 e 4 di questa legge, è di tutta evidenza che la impunitá goduta dall’autore di una stampa contraria alla legge non può dar titolo ad aicuno per

ripeterne i concetti, con maniere massimamente ed in luoghi che alla quiete pubblica riescissero vieppiú pericolosi.

«Le silence du Ministère public (questa è la sentenza del Chassan nel suo trattato sui delitti e sulle contravvenzioni della parola, dello scritto, e della stampa), le silence du Ministère public au sujet d’une précédenie publication, ne peut jamais étre considéré comme une autorisation d’en fair une nouvelle. Chacun reste juge è ses risques et périls de ce qu’il doit écrire et imprimer. Ce silence ne peut ètre allégué non plus comme preuve de la bonne fois du prévenu,»

A tali principii si è costantemente coordinata la giurispru- denza delle Corti francesi, che fu solennemente stanziata dalla Cassazione a’ dí 22 aprile 1824 (Vedi DaLoz, tomo x, vedi Presse).

Che se parliamo dell’ordine o del mandato, a togliere ogni ombra di scusa in chi adducesse come circostanze attenuanti siffatti comandamenti, soccorrono le esplicite disposizioni del nostro Codice penale, le quali basterá che io trascriva,

Art. 107. Sono agenti principali:

«1° Coloro che avranno dato mandato per commettere un reato;

«2° Coloro i quali con doni, con promesse, con minacce, con abuso di potere o di autoritá, o con artifizi colpevoli a- vranno indotto taluno a compierlo;

«3° Coloro che concorreranno immediatamente con l’opera loro all’esecuzione del reato, o che nell’atto stesso, in cui si eseguisce, presteranno aiuto efficace a consumarlo.»

Per tale articolo, chi manda ovvero ordina è reo tanto quanto lo è Pesecufore.

E viemaggiormente si farebbe manifesta la reitá del man- dante o dell’ordinatore nella nostra fattispecie ; perocchè un superiore ministro del culto (o nello Stato o all’estero), or- dinando al suo inferiore di conculcare la legge del regno, commetterebbe senza alcun dubbio l’abuso di autoritá con- templato nel $ 2 del detto articolo 107. Nè Governo alcuno può ammettere, se non rinuncia alla propria autonomia, che vabbia o dentro o fuori del suo territorio una podestá cui sia lecito di comandare l’esecuzione di fatti che le leggi pe- nali del paese riconoscono essere reati. Indi il legislatore, allorachè consentí che l’ordine del superiore giuslificasse l’atto materialmente ingiusto del subordinato, lo enunciò e- spressamente e con parole specialissime negli articoli 306, 342, i quali per ciò stesso confermano Ia regola che va 0s- servata sempre se non si produce la esenzione.

Quel che il patrio legislatore sanciva nell’articolo 107, l’an- fica Roma, che ha dato leggi al mondo, lo aveva giá promul- gato: «Si plures fecerint, vel mandaverint, omnes tenebun- tur» (L. 8, Cod. ad leg. Iul. De vi pub.) «Si alius fecit, alius mandavit, ambo tenentur» (L. 7 ff. Dejuris, ecc.). «Namque unusquisque ex suo adraisso sorti subjicitur» (L. 26 fl. De penis), E la filosofia moderna, facendo eco alla romana sa- pienza, metteva per fondamento della imputabilitá che «ogni reato è personale, e non suscettivo di garanzia.»

HI,

Giunti al termine della nostra relazione, ci faremo sicura= mente interpreti dei vostri sentimenti, rallegrandoci da que- sta tribuna che il guardasigilli, nel riproporre alla vostra a- dozione il presente progetto, abbia promesso che «nei lavori, che dovranno preparare la revisione del Codice penale, il Governo non tralascierá di attendere alle maggiori riforme, che sono richieste dalla ragione dei tempi.»

Con le quali parole adombrò, noi crediamo, quella libera discussione in materia di fede e di culti, che abbiamo or fa