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] dati statistici che si avevano intorno alla consumazione dei generi di gabella nelle provincie giá gravate di questa imposta, non farono guida abbastanza sicura nel fissare il ri- spettivo canone. Lo fu tanto meno, per le provincie che ne erano andate sino allora esenti, la base adottata della popo- lazione.

E invero, non in tutte le provincie, non in tutti i comuni si consuma a paritá di popolazione la stessa quantitá dello stesso genere. Il maggiore o minore frazionamento della proprietá e conseguentemente il maggiore o minore benes- sere economico degli abitanti, la diversa coltura dei fondi, il variare dei raccolti, la maggiore o minore mutabilitá della popolazione e le cagioni che vi danno luogo, le abitudini della vita, lo sviluppo, lo stagnamento, la cessazione del commercio, del iraffico, dell’industria, sono altrettante cause che notabilmente devono accrescere 0 scemare la consuma- zione nei vari comuni, e quindi dare ragione ad aumenti 0 diminuzioni della tassa. Che se questa è prestabilita in una somma certa ed immutabile, se vuole essere pagata intera- mente in ogni caso, ne risulta l’ineguaglianza, l’ingiustizia, e conseguentemente l’inesigibilitá dell’imposta.

Questi inconvenienti giá per sè gravissimi, originati dalla prima distribuzione dell’imposta tra provincia e provincia, crescono a mille doppi nelle successive tra comuni e comuni, tra esercenti ed esercenti, e giungono a tale segno da ren- dere assolutamente importabile l’imposta.

Scendendo ora dai principii generali ai particolari delia legge, la Commissione si crede in dovere di segnalarvene i vizi principali.

Primo è di suscitare rivalitá e discordie tra comuni e co- muni di una stessa provincia, e di turbare quell’unione che è tanto desiderabile per il buon andamento degl’interessi provinciali. Diffatti, non appena compiuta dai Consigli pro- vinciali l’ardua impresa della ripartizione, insorsero liti tra i comuni ; e siccome non si può alleviare la gravezza di un comune senza toccare ai contingenti di tutti gli altri, cosí ne venne che l’appello di un comune solo chiamò in causa tutti i comuni della provincia, e che il mal contento da un punto si diffuse în tutta la provincia, eon qual pro della concordia e delle finanze comunali voi potete facilmente im- maginario.

Il secondo vizio è la difficile ed innaturale condizione in cui sono posti i comuni. Costituiti veri e soli debitori verso lo Stato dell’imposta gabeltaria essi sono autorizzati a rimbor- sarsi del ioro contingente per abbuonamento volontario 0 forzato, oppure per esercizio. L’abbuonamento volontario che sarebbe il mezzo piú ovvio di rimborso, appunto perchè volontario, fu trovato nella pratica difficile dappertutto, im- possibile in quei comuni che furono di troppo gravati. L’ab- buonamento coattivo oltre ad essere dispotico e per conse- guenza contrario all’indole delle amministrazioni comunali conduce gli esercenti ai due estremi, o di chiudere il loro esercizio, o di trasferirlo altrove. L’esercizio finalmente da un lato elude uno dei fini delta legge aggravaudo l’imposta di tutte le spese che cagiona, dall’altro, posto come è dalla legge nelle mani dei comuni, non può dare quei risultati che si riprometterebbe un appaltatere, il quale può adoperare nelle esazioni una severitá, un rigore, una inflessibilitá che non è consentita ai comuni.

Nessuno adunque dei mezzi stabiliti dalla legge è acconcio a raggiungere il fine che la medesima si prapone, l’esazione cioè dell’imposta nei comuni, nemmeno nei rarissimi casi nei quali il contingente loro assegnato corrisponda vera- mente alla effettiva consumazione. i

Quando poi il comune sia stato nel riparto soverchiamente gravato, allora, a meno che abbia il privilegio di far salire la consumazione reafe sino al punto a cui ha presunto ascenda il Consiglio provinciale o d’intendenza, si vede costretto a sopperire al pagamento di quel tanto che manchi al compi- mento del suo contingente coi redditi propri o con altri mezzi dalla legge acconsentiti, il che equivale a snaturare VPimpo- sta, e di consumazione quale deve essere, cambiarla in una vera imposizione diretta sui comuni.

S’aggiunge un terzo vizio, che cioè l’interesse dei comuni non è per nulla garantito dagli inconvenienti delle cessazioni o traslazioni degli esercizi, e conseguentemente che i loro bilanci sono esposti alla eventualitá di eccessive perdite. Av- venne infatti, dopo l’approvazione del riparto per parte del Consiglio previnciale, che in alevni comuni esercenti i quali erano tassati per lire 2000, 4000, 6000, trasferirono il loro esercizio in altro comune dal quale o non furono colpiti da tassa verona, od il furono în una misura di gran lunga mi- nore. E cosí que’ primi comuni sono cbbligati a pagare per oltre tre anni una tassa di lire 2000, 4000, 6000, sebbene privi della fabbrica, per esempio, di birra, o del macello, ed invece questi secondi nei quali si sono nuovamente impiantati gli esercenti, continuano per uguale spazio di tempo ad es- sere esenti dalla tassa, 0d a pagarne una minore del giusto.

Si aggiunge altresí che i comuni, collettori quali sono del- l’imposta, non possono essere sicuri di esigerla intera, per- chè circoscritto quale è il contingente negli angusti limiti dei comuni, gli abitanti dell’ano possono facilmente provvedersi il genere soggetto alla gabella da esercenti di altri, per pci consumarlo al loro domicilio, senza corrispondere al proprio comune la tassa che gli sarebbe dovuta. Al quale inconve- niente non è possibile ovviare se non collo stabilire dazi di entrata, cosa impossibile nella gran niaggioranza dei comuni.

Sinora dell’interesse delle provincie e dei comuni, ora ve- niamo a parlare di quello delio Stato.

È egli questo interesse sufficientemente garantito dalla legge? Non crediamo di errare rispondendo recisamente di no.

Se per una parte è vero, come giá notammo, che il co- mune è debitore della quota del canone ; se è vero che questa quota è annoverata fra le spese obbligatorie ; se è vero inol- tre che il comune può essere au’orizzato a sopperire al pa- gamento del canone con redditi propri o con altri mezzi con- sentiti dalla legge ; per l’altra è pure positivo che a diffe- renza di tutte ie altre spese obbligatorie, il pagamento di detto canone non può essere effettuato giammai, e non senza ragione, per mezze di sovrimposta alle contribuzioni di- rette,

E siccome non pochi sono i comuni che non hanno Îl vane taggio di potere distribuire tutto intiero il loro contingente, siccome la maggior parle dei comuni priva affatto di rendite proprie ed impossibilitata a procurarsene delle nuove, non ha altro mezzo per far fronte alle spese obbligatorie tranne quello di accrescere le contribuzioni dirette, cosí ne avviene che il comune, quando pure il voglia, non può e non deve pagare la parte di quota che non ha potuto distribuire, ed il Governo non può esigerla.

Dicemmo che non senza ragione la legge vieta ai comuni di sovrimporre alle contribuzioni dirette per fare fronte al pagamento del canone. Ammessa infatti questa facoltá Ja legge perderebbe affatto quel carattere d’imposta di consu- mazione che le è tutto proprio. La tassa, invece di colpire la consumazione, imporrebbe i proprietari, e quel che è peggio li imporrebbe o non Ji imporrebbe secondochè equa o no fosse stata la distribuzione del canone provinciale fra i co-