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documenti parlamentari


del Ministero sa questa prescrizione. Sperando che non siano più per rinnovarsi simili dimenticanze, e ritornando all’argomento della legge e ritenuto il menzionato cambiamento a farsi all’articolo 1 del capitolato che stabilisce a 20 anni il termine ivi prescritto di 10, ho l’onore di proporvi dietro l’unanime avviso della Commissione l’approvazione del progetto di legge formulato nel seguente modo.

PROGETTO DI LEGGE.

Articolo unico. È approvata la convenzione in data 25 gennaio 1854 seguita fra le finanze dello Stato e la città di Torino in ordine alla vendita di terreni per la formazione di giardini pubblici presso il Valentino, con che il termine, di cui all’articolo 1 relativo alla proibizione imposta al comune di non fabbricare sui terreni ceduti, sia portata da 10 a 20 anni.


Relazione del presidente del Consiglio ministro delle finanze (Cavour) 6 marzo 1854, con cui presenta al Senato il progetto di legge approvato dalla Camera nella tornata del 16 febbraio 1854.

Signori! — Nel duplice scopo di provvedere all’ampliazione delle pubbliche passeggiate, richiesta dal seguito aumento di popolazione, e di venite ad un tempo in sollievo della classe indigente coll’attivazione dei lavori all’uopo occorrenti, il municipio di Torino entrava in divisamento di acquistare dalle finanze dello Stato alcuni terreni che formano parte del podere demaniale detto l’Ajrale presso il Valentino.

La convenzione a cui riescivano le trattative a tale riguardo intavolatesi, essendo stata nella tornata del 16 febbraio ultimo approvata dalla Camera elettiva, colla modificazione (dettata nel mero interesse delle finanze) della sola clausola riguardante la proibizione imposta alla città di fabbricare sui terreni cadenti nella cessione, che da termine prima fissato di dieci anni, sarebbesi estesa a venti, io mi onoro, o signori, di sottoporre in oggi alle deliberazioni del Senato il relativo progetto di legge.


Relazione fatta al Senato il 17 marzo 1854 dall'ufficio centrale composto dei senatori Della Marmora A, Audiffredi, Galli, D'Azeglio Massimo, e Sauli, relatore.

Signori! — Il vostro ufficio centrale ha esaminato attentamente il progetto di legge concernente alla cessione di terreni demaniali alla città di Torino per la formazione di giardini pubblici, il quale si appresenta sotto il solo aspetto di provvedimento finanziario, indiritto a sancire l’alienazione e lo scambio di una porzioncella del pubblico demanio, e non può per conseguenza dar luogo a grave discussione.

Ma affinchè la sua relazione non riuscisse troppo arida e poco corrispondente perciò a legge di così vago argomento, il vostro ufficio centrale ha stimato di non dover pretermettere questa occasione, senza commendare altamente la civica amministrazione del pensiero destatosi in lei di essere cortese di ombre amene e di dilettevole convegno alla ognora crescente popolazione della capitale, e di aggiungere questo nuovo comodo ai tanti altri di cui va già a gran dovizia fornita. Nè degno di minore lode gli parve il pensiero col quale, additando il nuovo diporto come semplice ampliazione, fa manifesto di voler conservare l’attuale pubblico giardino posto sopra i ripari, il quale, e per la bellezza del sito e per quel po’ di elevazione che rende alquanto ondeggiante il suolo della città, togliendogli il carattere di monotona e fastidiosa pianura, è uno dei suoi principati ornamenti; e che, per la maggior vicinanza, riesce maravigliosamente appropriato agli innocenti trastulli della gioventù, non che al grato riposo della vecchiezza. Quindi è meritevole di gratitudine la civica amministrazione che intende salvarlo dai pericoli ai quali esporre lo potrebbero quelli che, cresciuti in paese già stretto in angusto confine dove le case per necessità si combaciavano una coll’altra, non vedrebbero di mal occhio togliersi questo salutifero, ma per essi incomodo intervallo tra l’antico ed il moderno abitato, Ognuno sa quanto si allieti la superba Parigi pei larghi e sontuosi giardini che la dividono in due parti. Nè deve andar perduto l’esempio dato già dall’immortale duca Emanuele Filiberto, vero istitutore della monarchia sabauda che, nella formazione del famoso parco, il quale servì al gran Torquato di modello alla descrizione degli incantati giardini di Armida, vietò non si abbattessero gli alberi pei quali serbava un quasi religioso rispetto, dicendo di aver egli potenza bastante per innalzare torri e superbi edifizi, ma venir meno ogni sua facoltà a far crescere in un batter d’occhio antiche piante capaci di spargere all’intorno un’ombra gradita.

Il vostro ufficio centrale è di unanime avviso che da voi si approvi la legge quale vi fu dal Ministero proposta.



Concessione della strada ferrata da Biella a Santhià.

Progetto di legge presentato alla Camera il 30 gennaio 1854 dal ministro dei lavori pubblici (Paleocapa).

Signori! — Il prospero avvenire della strada ferrata da Torino a Novara non potrebbe essere da alcuno disconosciuto. Senza tornare sugli argomenti a cui si appoggiava il Ministero nell’invocare dal Parlamento la facoltà di farne la concessione, basterà ormai a confermarlo il favore che ottenevano le azioni costituenti il capitale sociale, ricercatissime fin da principio, e che ora si mantengono in credito a preferenza di quelle di tante altre imprese, quantunque non abbiano alcuna assicurazione d’interesse, e che l’opera sia ancora incompleta.

Questa prospettiva di un felice successo si fonda sulla grande importanza di quella ferrovia, sia che si voglia riguardarla come linea di grande commercio internazionale, sia che si consideri per rispetto alle relazioni che essa procura, pronte, ed economiche, di molte delle più belle provincie dello Stato fra loro, colla capitale e col porto di Genova. Ma tralasciando di parlare qui delle relazioni internazionali, egli è pur certo che, affinchè sia adempiuto più sicuramente e con maggiore profitto alle interne, bisogna, per quanto è concesso in termini giusti dalla natura montuosa del paese, facilitare ai territori che stendonsi dalla pianura padana al piede delle grandi Alpi, la influenza sulla linea principale della ferrovia da Torino a Novara mediante diramazioni che, volgendo a settentrione, rimontino quelle vallate sino a qualche notevole centro di popolazione e di commercio, a cui, come a mercato principale, possano concorrere le