Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti II.pdf/487

Da Wikisource.

determinato, può dunque motivare un diritto positivo spe- ciale a pro dell’inventore, analogo, se non identico al diritto dell’autore sui suoi componimenti scientifici o letterari.

Nella seconda parte di questa relazione esporremo le norme peculiari che ci hanno guidati nel formulare l’articolo se- condo del progetto, e che suppone risoluta nel modo sopra espresso la quistione da noi qui disaminata con quella bre- vitá che c’impongono Ja natura del lavoro e la sapienza della Camera.

Su questo punto, da qualche accessoria particolaritá in- fuori, sono concordi le legislazioni tutte del globo; il che è valevole argomento a farci convinti che l’ opinione da noi adottata è la sola ragionevole e giusta.

S IL

Nullameno si è da taluno opinato che le privative per in- venzioni o scoperte sono veri monopolii a tempo e però con- trarie a” principii della libera concorrenza.

Certamente una privativa soitrae per alcun tempo alla concorrenza de’ produttori sia il nuovo prodotto, sia il nuovo mezzo o il nuovo modo di produrre, che costituiscono l’ in- venzione industriale cui essa riguarda; e sotto questo aspetto può affermarsi che le privative sono monopolii.

Noi però osserviamo innanzitutto che 1° invenzione non è oggetto di monopolio, nel senso sopraddetto, piú che non sia l’ingegno stesso dell’inventore ; e che però la privativa sarebbe il riflesso legale d’un monopolio naturale ed inevita- bile, cioè d’un monopolio che essendo giustificato da condi- zioni naturali, non può chiamarsi tale se non per semplice analogia.

Ma dalle generalitá scendendo nel campo del senso comune e della esperienza aggiungiamo che, siccome ]’ inventore avrebbe potuto non fare la invenzione, o celaria dopo che l’ebbe fatta, cosí gli compete naturalmente il diritto di non propalarla se non a quei patti che potrebbero essere da lui posti e dall’universale consentiti, se egli e l’universale po- tessero intendersi fra loro.

Ora questi patti stabilirebbero senza dubbio, nel maggior numero dei casi, una ricompensa de’ suoi studii, delle sue fatiche e spesso ancora delle considerevoli spese da lui tol- lerale.

Però sempre che al privato può competere una ragione non in modo particolare verso tale o tale altro individuo, bensi in modo generico verso la intera societá, non debbe essa ra- gione venire abbandonata alla libera valutazione d’un con- tratto impossibile, ma deve essere assicurata e tutelata con ua provvedimento della legge, alia quale incumbe per 1’ ap- punto il prescrivere ciò che per la natara delle cose gli uo- mini Jiberamente farebbero, se tutti per ispontanea volontá rispettassero l’innocuo esercizio de’ vicendevoli diritti, ed osservassero i loro propri doveri. Ond’ è che nella specie la legge deve sempre provvedere al compenso che l’inventore avrebbe diritto di riscuotere dall’universalitá de’ cittadini, se potesse intendersi con loro nel rendere patrimonio di tutti un suo peculiare trovato. .

Ma in che mai potrebbe consistere simigliante compenso?

Lasciamo stare quello che fu proposto da taluni, mercè di una privativa perpetua, detta monautopolio, e fondata sul principio della proprietá assoluta e perenne della invenzione. Fin dal principio abbiamo dichiarato di attenerci su tale ma- feria all’unanime consentimento delle legislazioni, convali- dato dai ragionamenti di quei pubblicisti che, ravvisando nella invenzione un germoglio novello pullulato sull’albero della scienza e dell’arte, tengono il monautopolio come la

confisca di ciò che era giá patrimonio di tutti, eseguita a pro d’un solo, piuttosto che come riconoscimento di un privato diritto di proprietá.

Quanto poi ad altre specie di rimunerazioni, è nostro av- viso che, in fatto di invenzioni e di trovati industriali, sa- rebbe insufficiente quella di che taluni pretendono che glin- ventori avrebbero ad essere soddisfatti, cioè la rinomanza e la gloria.

È strano, o signori, che per lo piú parteggiano per questa opinione quei filosofi tutto spirito e virtú che raccomandano l’assoluto dispregio della gloria e della rinomanza, e predi- cano sublimemente la religione del dovere e del sagrificio. Costoro però, siccome osservava un grande uomo, appon- gono anche essi i loro nomi in fronte ai propri libri per trarre gloria dal dispregio della gloria; e noi soggiungiamo che hanno cura al pari degli altri di vendere a caro prezzo le loro scritture, per trarre guadagno dal disprezzo del gua- dagno.

E per vero anche l’uomo perfetto, che si eleva al disopra della gloria, sente parecchie necessitá cui deve soddisfare per vivere, e quindi ha bisogno di mezzi economici atti a raggiungere questo corporeo, ma pure indispensabile scopo. Sicchè la legge ha il debito di guarentire a ciascuno il frutto pecuniario delle sue opere utili, salvo a chi vuole il conten- tarsi, sia della sola gloria, sia di quella pura ed ineffabile con- tentezza che provano gli animi eccellenti nella coscienza di avere giovato ai propri simili e, giovandoli, adempiuto al proprio dovere.

Dicesi però che l’inventore potrebbe trarre sufficiente ri- munerazione economica del suo trovato, liberamente prati- candolo.

Ma in questo caso niuna differenza correrebbe tra l’inven- tore ed ogni altro imprenditore qualunque, il quale nella ipotesi potrebbe praticare altrettanto.

Anzi costui sarebbe in migliore condizione dell’inventore medesimo; potendo non solo giovarsi gratuitamente della invenzione che all’altro costò spese, tempo e fatiche, ma si ancora approfittare del risultamento dei primi saggi, quasi sempre improficui e dispendiosi per chi si fa a mettere în esecuzione un nuovo trovato. Di soria che soventi volte l’in- ventore si avrebbe in tale guisa il gran beneficio di agevolare agli altri la via della ricchezza, mediante ia sua propria rovina.

D’inventori a questo prezzo non vi sarebbe al certo una gran copia al mondo.

Aggiungasi a tutto questo che l’inventore il piú delle volte non sa o non può praticare egli medesimo la sua scoperta. Un meccanico può non essere nè filatore nè tessitore; ed i Jaquard, che pure non sono frequenti, mancano quasi sempre di capitali per tramutarsi in imprenditori e fare grossi gua- dagni.

Nelle presenti condizioni economiche dunque non potreb- besi concedere all’inventore altro compenso che o una pri- vativa temporanea o una rimunerazione diretta pagatagli a titolo di prezzo della sua invenzione.

Questo secondo espediente potrebbe essere praticato nel caso assaf raro di qualche invenzione che meritasse di essere, per casí dire, espropriata, sia per la sua nazionale impor- tanza (come sarebbe una invenzione di mezzi meccanici ap- plicata alla difesa dello Stato), sia per la sua indole speciale (come verbigrazia un nuovo modo di preparare tabacchi o di fabbricare polvere da sparo, lá dove, come appresso noi, quelle industrie sono oggetto di monopolio), sia infine per qualche ragione estrinseca o peculiare che ne rendesse indi-

TE