Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti II.pdf/527

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alle quali, come a cose straordinarie, saranno pure da con- ferire straordinarie ricompense, diciamo che non avvi in- ventore che sia autore unico dei propri peasieri; che non avvi insomma invenzione, la quale, quando non fosse stata fatta da colui che veramente la fece, oppure falta bensí da lui fosse con lui perita, avesse perciò da rimanersi perpetua- mente nella notte del nulla, e non fosse anzi per esserne tratta da altri.in un tempo piú o meno prossimo. Poichè ogni invenzione è in certo modo come la conchiusione di un sillo- gismo le cui premesse sono note a moltissimi; la qual con- chiusione tardi o testo emergerá da quelle sicuramente, é sará tratta non appena uno spirito retto e riflessivo verrá ad affissarsi in esse ed a contemplarle attentamente. Ma ben al- tra è Ia natura delle produzioni letterarie ed artistiche, Se Watt, se Arkwight, se Jacquard non fossero stati, giá non è da credere che all’uman genere sarebbe per sempre mancato l’usc della macchina a vapore perfezionata, delle Male-Jenny o del telaio da intessere meccanicamente i drappi a opera; che anzi può francamente asserirsi che ognuna di queste in- venzioni si sarebbe pur fatta da altri, o nella medesima forma, od in altra equivalente, e sarebbe stata forse ritardata di al- cuni anni, ma non sicuramente perduta.

Ora, chi vorrá mai dire similmente, che noi possederemmo pure la Iliade e la Divina Commedia, il Giudizio universale della Sistina ed il Mosè di San Piero in vincoli, e quell’altro Mosè che tanti applausi riscosse su {utti i teatri d’Europa, se Omero e Dante e ii Buonarroti e Rossini stati non fossero o non avessero volto alla creazione di queste maravigliose opere il loro divino ingegno?

Le style c’est homme, disse Buffon, e nelle produzioni let-

terarie ed artistiche, sebbene nen può l’uomo non mostrarsi imbevuto dei sentimenti e dei pensieri della umanitá e del suo secolo, sebbene non può non valersi, per esprimere i suoi concetti, dell’artifizio comune della parola, o di quegli altri che sono propri dell’arte sua, ma che a lui solo esclusiva- mente non appartengono, pure egli sa stampare, nell’opera sua, tale un suggello di personalitá, tale una impronta, un carattere cosí esclusivamente suo, che vano sarebbe lo spe- rare che da altri che da lui solo, potessero mai quelle opere medesime essere concepite e procreate. Onde segue pure che altro deve essere il diritto del poeta, dello storico, del pittore, dello scultore, dell’architetto, del compositore musi- cale, altro quello dell’inventore di macchine, di strumenti, di processi industriali ; e che questo e quello debbono essere governati da leggi speciali, tra loro affatto distinte, come di- stinte deggiono essere da quelle che governano la proprietá delle cose materiali.

Egli è vero che non tutte le opere dell’ingegno, anzi pe- chissime, portano questa cosí possente impronta, e come la immagine della mente da cui furono create; e che moltissime di esse sono modeste imitazioni, sono compilazioni pazienti che partecipano piú ancora del lavoro meccanico, che della creazione intellettuale,

Ma questi diversi gradi di originalitá, che ’una dall’altra differenziano le opere dell’umano ingegno, posson fare bensí che riesca piú difficile, e, se si vuole, anche impossibile il re- golare i diritti degli autori con sí giusta legge, che in ogni caso si dia a ciascuno ciò che appunto gli è dovuto e non piú; ma non tolgono nè scemano la veritá della distinzione che abbiamo notata tra le creazioni letterarie ed artistiche e le invenzioni industriali, e la fermezza -della conseguenza che ne abbiamo voluto dedurre, cioè del non doversi con- siderare come identicamente eguali e simili fra [oro in tutto e per tulto i titoli dell’inventore industriale e quelli dello

scrittore e dello artista. Epperò, quando anche a questi ultimi si credesse competere sulle cpere loro un diritto di vera pro- prietá, non devesene inferire che un pari diritto competa pure al primo.

Ma non solamente la perpetua ed assoluta proprietá delle invenzioni non è necessaria al bene delle societá e non può assomigliarsi nè alla proprietá materiale nè alla proprietá letteraria; ma essa non sarebbe neanco utile; epperò non deve tenersi nè come dettata dalia legge naturale, nè come conveniente ad introdursi nella legge positiva. Non è infatti difficile lo scorgere come coll’assiepare di un perpetuo diritto di monopolio ciascheduna invenzione, col dividere il dominio dell’industria in uno sterminato numero di piccoli priscipati assoluti e perpetui, col sottrarre ogni produttore allo stimolo della concorrenza degli altri produttori, ben lungi dal gio- vare all’industria ed ai consumatori, cioé alla societá tutta intiera, si toglie all’una quel possente motivo di progresso che è la concorrenza, quell’indispensabile condizione di mi- glioramento che è la libertá; si toglie agli altri, cioè ai con- sumateri, il vantaggio del buou mercato e quello della buona qualitá dei prodotti, perchè l’uno e Paltro non sono guaren- tili se non dalia concorrenza dei produttori.

Cosí, dunque, agli inventori compete indubitatamente il diritto di essere in qualche modo ed in giusta misura rimu- nerati per le loro invenzioni, per io stadio, per la spesa, per la fatica, pei disagi che essi hanno sostenuti, Questo diritto, tuttcchè non debba confondersi con una vera proprietá, è indubitabile e santo. La societá non può, non deve invadere senza compenso la invenzione di chicchessia. Ma questo com- penso sará esso un premio, e come un prezzo accordato tra il Governo e l’inventore, o stabilito secondo certe norme dalla legge? Sará una tassa annua imposta dalla legge stessa a tutti coloro che vorranno far uso della nuova invenzione? O finalmente consisterá esso in una temporanea privativa cancessa esclusivamente all’inventore, per un tal numero di anni, che valga a compensarlo delle spese, delle fatiche, da lui incontrate, a remunerare pienamente il servizio da Iui reso alla societá ? Giá, o signori, se nulla vale il consenso di tutti i popoli civili, l’unanimitá di tutte le legislazioni, que- sta quistione può dirsi dal fatto bella e risoluta in favore dell’ultima alternativa da noi posta, cioè della privativa tem- poranea. Cosí infatti venne statuito in Inghilterra fino dal 1623, negli Stati Uniti d’America nel 1787, in Francia nel 4791, in Russia nel {8£2, in Prussia nel 18î5, nei Paesi- Bassi nel 1847, in Ispagna ed in Austria nel 18920, in Baviera nel 4825, in Piemonte nel 1826, a Roma nel 1833, in Isvezia nel 1834, nel Wiirtemberg nel 1836, in Portogallo nel 1837, negli Stati delia Unione Doganale Germanica nel 1842, nel Paraguay nel 1843; poi nuovamente in Inghilterra ed in Au- stria nel 1852, in Sassonia nel 1853 e nel Belgio nel 1854. Un cosí rnanime consentimento basterebbe solo a dimostrare ed il diritto degli inventori, e ia differenza di questo diritto da quello di proprietá assoluta, e la miglior maniera di rico- noscerlo e soddisfarlo, Ma non ci mancheranno altri argo- menti piú diretti a dimostrare che cosí sia veramente,

Noi abbiamo, fra le altre legislazioni, citata pure come consenziente nel principio delle privative temporanee quella che sorse presso di noi per le regie patenti del 28 di febbraio 4826, alle quali tennero dietro piú tardi quelle del 2 gen- naio 1829. Ma lessersi in queste leggi voluto considerare la concessione delle privative come un favore sovrano, e non come il riconoscimento di un diritto, sua esistenza del quale toccasse ai tribunali soli di pronunziare, è stato cagione che a ciaseuna concessione si sia dovuto far precedere un esame