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10 1935


ra, e mi parve di non lavorare piú che di ritagli o di sofisticare. Tant’è vero che — e meglio me ne accorsi quando volli chiarirmi in uno studio il lavoro compiuto — scusavo ora le ulteriori ricerche della mia poesia come applicazioni di una consapevole tecnica dello stato d’animo e facevo invece una poesia-gioco della mia vocazione poetica. Ricadevo cioè nell’errore, che, identificato e fuggito, aveva giovato a lasciarmi all’inizio tanta fresca baldanza creativa, di poetare, e sia pure indirettamente, su di me poeta. (Exegi monumentum...) A questo senso di involuzione posso rispondere che invano ormai cercherò in me un nuovo punto di partenza. Dal giorno dei Mari del Sud1 in cui per la prima volta espressi me stesso in forma recisa e assoluta, cominciai a costruire una persona spirituale che non potrò mai piú scientemente sostituire, pena la negazione sua e la messa in questione di ogni mio futuro ipotetico slancio. Rispondo quindi al senso di inutilitá presente, umiliandomi nella necessitá di interrogare il mio spirito in quei modi soltanto che finora gli furono naturali e fruttuosi, rimettendo ogni scoperta alla feconditá di ciascun caso in particolare. Dato che la poesia viene alla luce tentandola e non prospettandola.

Ma perché, in quel modo che sinora mi sono limitato come per capriccio alla sola poesia in versi, non tento mai un altro genere? La risposta è una sola e forse insufficiente: per ragioni di cultura, di sentimento, di abitudine ormai e non per capriccio, non so uscire dal sentiero, e mi parrebbe dilettantesco il colpo di testa di mutare la forma per rinnovare la sostanza.

9 ottobre.

Ogni poeta s’è angosciato, meravigliato e ha goduto. L’ammirazione per un gran passo di poesia non va mai alla sua stupefacente abilitá, ma alla novitá della scoperta che contiene. Anche se proviamo un palpito di gioia a trovare un aggettivo accoppiato con riuscita a un sostantivo, che mai si videro insieme, non è stupore all’eleganza della cosa, alla prontezza dell’ingegno, all’abilitá tecnica del poeta che ci tocca, ma meraviglia alla nuova realtá portata in luce.

  1. La poesia che apre il volume Lavorare stanca [N. d. E.].