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significativi sarebbe successione empirica, è falsa. Non è escluso che la successione empirica dei momenti eterni (atti morali, atti poetici, atti concettuali) possa venire après coup interpretata o disposta a costruzione vitale.

Tanto piú che si ammette (22 febbraio, IV, e 26 febbraio, II) che qualunque opera di costruzione è sempre fatta d’istantanee illuminazioni — momenti metafisici — che vengono après coup saldate, cioè chiarite unificabili.

Potrebbe darsi che nessun pensiero per quanto fugace, per quanto inconfessato, passasse senza traccia nel mondo. Ciò è sicuramente vero per ogni singolo individuo. Tuttavia interesserebbe sapere se una traccia ne rimanga sulle cose non solo in quanto l’individuo, modificato da quel qualunque pensiero, vi agisce su diversamente, ma addirittura di per sé — nel caso, ad esempio, che l’individuo morisse appena pensatolo. Che è un modo di credere all’anima del mondo, e ad altro ancora.

1° marzo.

L’equilibrio di un racconto è nella coesistenza di due persone: una l’autore, che sa come finirà, l’altra i personaggi, che non lo sanno. Se autore e protagonista si confondono (Je) e sanno come finirà, occorre rialzare la statura di altri personaggi per ristabilire l’equilibrio. Perciò il protagonista, se racconta lui, dev’essere piú che altro uno spettatore (Dostojevskij: «nel nostro distretto». Moby Dick: «chiamatemi Ismaele»).

Se si racconta in prima persona, è evidente che il protagonista deve sapere fin dall’inizio come la sua avventura andrà a finire. A meno di farlo parlare al presente.

La tua concezione dello stile come vita interiore che si fa (Cfr. 24 ottobre ’38 -5 novembre ’38), tende a trasportare il racconto al presente e in prima persona, donde negazione dell’equilibrio tra attore e personaggi, tra chi sa e chi ignora. Donde impossibilità di