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210 1941


4 aprile.

Niente è piú essenziale cominciando un’opera d’arte che garantirsi la ricchezza del punto di vista. Il modo piú immediato e banale di farlo, è attingere a un’esperienza un po’ insolita e sufficientemente lontana (cfr. 6-7 luglio ’39) e lavorare sulla complessità realistica di associazioni che questa presenta. Ma c’è un modo tecnico di comporre un punto di vista che consiste nel disporre vari piani spirituali, vari tempi, vari angoli, varie realtà — e derivarne proiezioni incrociate, gioco d’allusioni, ricchezza di sottintesi, cui tende tutta la tua preparazione e il tuo gusto. Un buon esempio potrebbe essere la scoperta di stamattina che la storia di Corradino si può sí raccontare in terza persona ma circondando i fatti di un’atmosfera in prima plurale che non solo dà un ambiente e uno sfondo al troppo gratuito Corradino, ma inoltre — massimo pregio — permette di ironizzarlo.

In tutte le cose l’errore è credere che si possa fare un’azione, assumere un contegno una volta e poi piú. (Sbaglio di quelli che dicono: «siamo laboriosi, avari se necessario, fino a trentanni, poi ce la godremo». A trent’anni avranno la piega dell’avarizia, dell’operosità, e non se la godranno piú. Di quelli che dicono: «Con un solo delitto sarò felice tutta la vita». Faranno il delitto e vivranno sempre pronti a farne un altro per nascondere il primo). Ciò che si fa, si farà ancora e anzi si è già fatto in un passato lontano. (Cfr. 26 novembre 1937, II e 5 gennaio 1938). L’angoscia della vita è questa rotaia che le nostre decisioni ci mettono sotto le ruote. (La verità è che già prima di deciderci seguivamo la direzione).

Una decisione, un atto, sono infallibili presagi di ciò che faremo un’altra volta, non per qualche mistica ragione astrologica, ma perché escono da un automatismo che si riprodurrà.