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1943 251


14 ottobre.

Tito Andronico ha, delle dubbie, scene senza immagini. Ma ne ha di ricchissime, il II atto col contrasto di natura fresca e gioiosa e covo del delitto (questo paesaggio è molto shakespeariano), e il terzo (dolore e maledizioni). Di truce humour (non ancora ironia) la II del IV, nascita del principino moro. Il resto (I atto e V) sono scoloritissimi e di stile tutto povero. Aaron è vilain che anticipa Iago e gli altri, ma somiglia anche al Barabas di Marlowe. Problema inestricabile. Lo stile, dov’è raggiunto, è simile al meglio dell’Enrico VI e anzi, come senso della scena globale, lo supera (II atto).

16 ottobre.

Letto Every man in his humour. Notato che i commediografi elisabettiani traggono il comico soprattutto dagli eventi (scherzi, tiri, lazzi, ecc.) Shakespeare soprattutto dalle parole (wit, battute, freddure, ecc.).

19 ottobre.

Every man out of his humour. Jonson ha imparato la lezione della prosa witty shakespeariana e l’adopera a tutto spiano nella nuova direzione della creazione realistica del personaggio. Ma i vulcani di wit dei suoi non sono puro gioco immaginativo come in Shakespeare, sono utilitari, servono a definire e esporre il personaggio.

22 ottobre.

Il Riccardo II (che è l’Edoardo II di Shakespeare: il re deposto e sua passione) mostra tutti i caratteri della tragedia giovanile di Shakespeare: versi declamati, aggettivi sonanti e riempitivi. Qui il wit appare in frequenti giochi di parole (seri). Deve ancora filtrare attraverso la prosa comica per raggiungere il vero linguaggio