Pagina:Pavese - Il mestiere di vivere.pdf/334

Da Wikisource.
330 1948


9 marzo.

I quattro piú grossi — mondi complessi e inesauribili, ambigui, moderni — sono Platone, Dante, Shakespeare e Dostojevskij. Ogni nazione ne dà uno solo. Se una nazione è un complesso di memorie comuni, di costumi, di abitudini e di miti, è naturale che venga una volta sola il momento in cui tutto s’equilibra e convive in modo vero.

23 marzo.

Perché eternità? Non comprendiamo cosa sia. All’obiezione che qualunque termine ponessimo all’esistere, il nostro pensiero balzerebbe subito oltre, si risponde che ciò non prova che oltre vi sia una vera realtà: il quadratino pensante sulla sfera balza sempre oltre e ciò non toglie che la sfera sia per lui limitata. Siamo fatti in modo che la mente ci balza sempre oltre — ecco tutto — ma non è detto che il tempo esista veramente, e dunque cadrebbe il problema della nostra caducità.

Resta — come mai, se il tempo non esiste, noi siamo fatti su schema temporale? Se la realtà è sempre uguale e immobile, come mai noi siamo sempre diversi e mobili?

27 marzo.

Io, e credo molti, ricerchiamo non ciò che è vero in assoluto, ma ciò che noi siamo. In questi pensieri tu tendi con sorniona noncuranza a lasciar affiorare il tuo essere vero, i tuoi gusti fondamentali, le tue realtà mitiche. Una realtà che non abbia legame radicale nella tua essenza, nel tuo subconscio ecc., non sai che fartene.

In fondo, di Dio ti spiace proprio la sua massima qualità — che è staccato, diverso da te, lo stesso per tutti, eppure una cosa suprema.

Ma perché accetti te — quel qualunque te che ti succede d’essere? In certo senso non è altrettanto oggetto il tuo io quanto l’io divino? Non credo sia per ambizione. Forse per pigrizia? O convinzione che non serve a nulla poggiarti su altro — coltivare qua-