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1949 343


11 gennaio.

Il fesso che hai sentito stasera («tutti cerchiamo il nostro comodo, i partigiani idem, gli idealisti sono fessi, m’importa tanto di morire e che domani si stia bene») è te stesso nei momenti di prudenza. Se tu l’avessi confutato in passato (id est, agito), forse ora non ci saresti piú (Leone). Tragedia. Eppure fra cent’anni crederà in te. No, crederà nel conformismo d’allora.

13 gennaio.

Vivere tra la gente è sentirsi foglia sbattuta. Viene il bisogno d’isolarsi, di sfuggire al determinismo di tutte quelle palle da biliardo.

19 gennaio.

Recensione di Cecchi, recensione di De Robertis, recensione di Cajumi. Sei consacrato dai grandi cerimonieri. Ti dicono: hai quarantanni e ce l’hai fatta, sei il migliore della tua generazione, passerai alla storia, sei bizzarro e autentico... Sognavi altro a vent’anni?

Ebbene? Non dirò «tutto qui e adesso?» Sapevo quel che volevo e so quel che vale ora che l’ho. Non volevo soltanto questo. Volevo continuare, andar oltre, mangiarmi un’altra generazione, diventare perenne come una collina. Quindi, niente delusione. Soltanto una conferma. Da domani (salva sempre la salute) si continua imperterriti. Non dirò si comincia, perché nessuno comincia mai. C’è sempre un passato, una prima volta anche in questo. Domani darò dentro, come ieri.

Però, che sicurezza di naso, che coincidenza di volontà e di destino! Che sia qui il valore e non nelle opere?

28 gennaio.

Dura lo stato di vaghezza, d’incerta ricerca. Si riapre il problema già sovente toccato: non t’accorgi di vivere perché cerchi