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348 1949


10 aprile.

La solidità e il pregio in cui sei tenuto ti giungono esattamente come li fantasticavi da giovane. Questo stupisce — che l’età matura sia proprio come la si pensava quando si era inesperti. O che ti sei dimenticato i sogni folli di allora e a poco a poco ti sei spostato e trasformato in ciò che ora credi di esserti vagheggiato prima? Comunque, una cosa non avevi sbagliato, ed era di credere che ti saresti sentito ora soddisfatto del tuo inizio e del tuo sperare.

Molti — forse tutti — mostrano la corda, scoprono la loro crepa. Natalia, Balbo, anche i nuovi (D’Amico) — nessuno piú t’incanta. Se non avessi la fiducia nel fare, nel tuo mestiere, nella pasta che tratti, nelle pagine che scrivi, che orrore sarebbe, che deserto, che vuoto, la vita? Sfuggono i morti a questa sorte. Quelli si conservano intatti. Leone, Pintor, perfino Berto. In fondo, tu scrivi per essere come morto, per parlare da fuori del tempo, per farti a tutti ricordo. Questo per gli altri, ma per te? Essere per te ricordo, molti ricordi, ti basta? Essere Paesi tuoi, Lavorare stanca, il Compagno, i Dialoghi, il Gallo?

12 aprile.

Un giornale nero di titoli come un temporale.

14 aprile.

«E prosegue e ritorna. Non ha posa
poiché l’opera sua è sempiterna,
poiché il suo soffio gelido lucerna
spegne che si riaccende gloriosa...»

scritti a quindici anni, in risposta a un sonetto di St. dove si descriveva la Morte che saliva su un colle.