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Ma tu (9 gennaio) parti dagli uomini spiegati e, per poetarli, li riduci a destino. Sembra il processo inverso all’arte, che di mito fa logo. Oppure. Si travaglia intorno a questo passaggio. Lo dibatte. Tendendo alla forma, alla favola, tende alla forma naturale, all’organismo autonomo, e quindi ricostruisce, sulla comprensione razionale, la figura del mito-destino. Volendo rifare la vita ricorre alle forme naturali, si rituffa cioè nel gorgo mitico, nelle forme che stupiranno come la natura, la vita, stupiscono, inesauste.

14 gennaio.

Disgusto del fatto, dell’opera omnia. Senso di cagionevolezza, di decadenza fisica. Arco declinante. E la vita, gli amori, dove sono stati? Serbo un ottimismo: non accuso la vita, trovo che il mondo è bello e degno. Ma io cado. Quello che ho fatto ho fatto. Possibile? Desiderio, brama, ansito di prendere, di mordere, di fare. Ci arriverò ancora?

(Tutto perché fioccano i giudizi negativi sul Diavolo sulle colline).

Ripensando alle sorelle D. so che ho perduto una grande occasione di fare sciocchezze. Ecco che Roma si colora nel ricordo.

17 gennaio.

Rapporto del destino col superstizioso. Dopo la Poetica del destino — sono, il destino, la vera miticità della vita umana; il superstizioso, la miticità conosciuta, quindi falsa. È fatale una vita che abbia una cadenza mitica, un ritmo prefissabile ma non disciolto in conoscenza razionale (che lo distruggerebbe); è superstiziosa una vita che si intestardisca a vedersi come schema mitico, quando sa bene che non è, e si capisce razionalisticamente. Una vita il cui ritmo, i cui ritorni, sono voluti, intenzionali.

Noi siamo al mondo per trasformare il destino in libertà (e la natura in causalità).

(Corretto il 30 gennaio).