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20 aprile.

Vediamo se anche di qua si può cavare una lezione di tecnica.

La solita — banale, ma non ancora penetrata. È sommamente voluttuoso abbandonarsi alla sincerità, annullarsi in qualcosa di assoluto, ignorare ogni altra cosa; ma appunto — è voluttuoso — cioè, bisogna smettere. Se una cosa dovrebbe ormai essermi chiara, è questa: ogni fregata da me presa, è originata dal mio abbandono voluttuoso all’assoluto, all’ignoto, all’inconsistente. Non ho ancora compreso quale sia il tragico dell’esistenza, non me ne sono ancora convinto. Eppure è tanto chiaro: bisogna vincere l’abbandono voluttuoso, smettere di considerare gli stati d’animo quali scopo a se stessi.

Per un poeta è difficile. O anche molto facile. Un poeta si compiace di sprofondarsi in uno stato d’animo e se lo gode — ecco la fuga dal tragico. Ma un poeta dovrebbe non dimenticare mai che uno stato d’animo per lui non è ancor nulla, che quanto conta per lui è la poesia futura. Questo sforzo di freddezza utilitaria è il suo tragico.

Che occorra vivere tragicamente e non voluttuosamente, è provato da quanto ho patito sinora. Anzi, da quanto ho inutilmente patito. Mi ha aperto gli occhi la rilettura delle poesie del ’27. Ritrovare in quella sbrodolata e napoletana ingenuità, gli stessi pensieri e le stesse parole di questo mese scorso mi ha atterrato. Nove anni sono passati ed io rispondo ancora tanto infantilmente alla vita? E quella virilità che pareva cosa mia duramente conquistata negli anni del lavoro, era tanto inconsistente?

Meno che ad ogni altra cosa, la colpa di tale insufficienza va alla poesia. La poesia, se mai, mi ha insegnato a dominarmi, a raccogliermi, a veder chiaro; la poesia mi ha reso, nel piú pratico dei sensi. La colpa va alla sognería, cosa molto diversa, e nemica della buona arte. Va al mio bisogno di evitare le responsabilità, di sentire senza pagare.

Non è soltanto una similitudine il parallelo tra una vita di abbandono voluttuoso e il fare poesie isolate, piccole, una ogni tanto, senza responsabilità di insieme. Ciò abitua a vivere a scatti, senza sviluppo e senza principi.

La lezione è questa: costruire in arte e costruire nella vita, bandire il voluttuoso dall’arte come dalla vita, essere tragicamente.