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(Ciò non vieta, si capisce, di fare il porco ogni tanto, o il sonettuzzo e la novella; anzi, bisogna farlo. Solamente, ricordarsi che, per comporre una novella o una serata, non occorre scomodare cielo e terra).



Ciò spiegato e sottoscritto, è umano lasciarmi sfogare e meditare che torto piú grosso nessuno me lo aveva fatto mai. Non per la questione dell’amore — ne abbiamo le palle piene, dell’amore — ma per quell’altra ragione che proprio questa volta andavo cercando di pagare, di rispondere, di legarmi e limitarmi, di tragicizzare il voluttuoso insomma. È bene che mi sia accaduto il contrario: si proverà cosí se la mia virilità può riprendersi. È bene, è bene, ma pure è stata una grossa villania. E a pensarci sopra, a escludere volenterosamente ogni voluttuosa sognería e passione, chi può dire se la mia tortura non nasca proprio da questo, — che mi è stata fatta una cosa ingiusta, — una cattiva azione? E non si trova anche qui una lezione di tecnica, una poetica?

22 aprile.

La verità è che nulla del mondo mi è ancora passato attraverso lo spirito, proiettandosi in radiografia nella sua struttura di realtà costitutiva e metacorporea. Non sono ancora giunto al grigio e sempiterno scheletro che c’è sotto.

Ho veduto dei colori, annusato degli odori e carezzato gesti, contentandomi di una gioia elettrice e riordinatrice. Ho scherzato come con amici e goduto da solo.

Ho ignorato la parola pensata. Le mie parole furono soltanto sensazioni. I miei ritratti furono quadri, non drammi. Mi sono fissato su figure e le ho tanto rimuginate e contemplate, da riprodurne una trasfigurazione soddisfatta. Ho semplificato il mondo a una banale galleria di gesti di forza o di piacere. C’è lo spettacolo della vita in quelle pagine, non la vita. È tutto da ricominciare.