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larono nella istintiva comprensione del vero pubblico, al di là dei pedanti) nella scelta e creazione che sanno farsi dei loro lettori.

Osservo pure che è falso credere possibile una progressiva creazione di un proprio pubblico da parte di uno scrittore. Cosí si crea il pubblico materiale, se mai, quello dell’editore. Ma il pubblico vero dev’essere tutto supposto fin dalla prima opera.

6 settembre.

Ho dunque scoperto un tipo d’uomo che prende tragicamente sul serio i doveri morali. Pensa subito che un principio morale va affermato anche dinanzi alla prigione, alla morte, alla ruota ecc.; e, atterrito da tanta obbligazione, non osa risolversi a definire e servire il suo principio morale. Costui vive infatti voluttuosamente (cfr. 20 aprile) e non ha principi. In fondo è nobiltà di sentire.

13 settembre.

Tra i segni che mi avvertono esser finita la giovinezza, massimo è l’accorgermi che la letteratura non mi interessa piú veramente. Voglio dire che non apro piú libri con quella viva e ansiosa speranza di cose spirituali che, malgrado tutto, un tempo sentivo. Leggo e vorrei leggere sempre piú, ma non ricevo ormai come un tempo le varie esperienze con entusiasmo, non le fondo piú in un sereno tumulto prepoetico. La stessa cosa mi accade passeggiando per Torino; non sento piú la città come un pungolo sentimentale e simbolico alla creazione. Già fatto, mi viene da rispondere ogni volta.

Tenuto il giusto conto delle ammaccature varie e rovelli e stanchezze e maggesi, rimane chiaro che non sento piú la vita come una scoperta e tanto meno quindi la poesia — ma piuttosto come un freddo materiale di speculazioni e analisi e doveri. Qui batte ora la mia vita: la politica, la pratica, tutte cose che si giovano dei libri, ma i libri non amano come invece fa la speranza di creazione.

Ora, anche da giovane mi sistemavo eticamente: trovata la posizione dell’impassibile cercatore, la vivevo e sfruttavo in creazione.