Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/341

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II.

Non gli dissi ch’ero uscito con Linda. Adesso entrando, prima cosa si sentiva quel profumo. La finestra era aperta, ma nel freddo sentivo il profumo. Guardavo in terra i mozziconi se eran sporchi di rossetto.

— Vedrai che guarisci, — dicevo, — basta fare esercizio.

— Che esercizio?

— Hai imparato a camminare, da ragazzo?

— Con che gambe?

Non mi parlava piú dei fiori. Non si faceva piú la barba. La bottiglia del cognac l’aveva finita.

— Se continui cosí, le spaventi, — dicevo.

— Chi?

— Le ragazze.

Un mattino mi disse di portarmi la chitarra. Io in quei giorni bastava dicessi a bassa voce «Buono, Pablo» per sentirmi felice. Venni con la chitarra e, seduto sul letto, cercai di suonare. Lui mi ascoltava con la testa sul cuscino. Chiudeva gli occhi come Linda. Ma non s’accorse che suonavo male. Non disse niente. Io gli dissi: — Domani porto qualcosa da bere.

L’indomani mi sedetti nel caffè in faccia al portone e stetti mezza la mattina se vedevo Linda uscire. Vidi uscire la mamma di Amelio, vidi andare e venire la gente, ma Linda non venne. Salii col fiasco e la chitarra all’ora solita, e suonai con piú gusto e bevemmo e parlammo. Di sentirci il profumo di Linda non ero piú cosí sicuro. Altre mattine mi appostai dentro il caffè. Non la vidi passare.


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