Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/399

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In quel momento arrivò Linda e mi chiese perché trattenevo Carletto.

— Non trattengo nessuno.

— Mi posso sedere al tuo tavolo?

Suonò l’orchestra e lei si alzò e mi disse: — Balli?

Ballando cercava di farmi parlare. — Che ti piglia? — diceva. — Io ti ho aspettato tante volte in questi giorni. Tu non mi hai mai voluto bene, è questo il fatto.

Gliene dissi di tutti i colori; lei stava a sentire. — Pablo, — mi fece, — vuoi che usciamo noi due soli?

Quante cose mi disse, lassú abbracciati.

— Mi hai trattata come fossi una serva, — mi disse. — Io, ho dovuto aspettarti; io, parlarti.

— Giravo sempre giorno e notte, non volevo pensarci mai piú.

— Vedi bene che è inutile, — disse. — Sei qui.

— Me ne andrò un’altra volta.

— Sei cattivo, — diceva, — non le puoi dire queste cose.

— Sta’ zitta, — dicevo, — sta’ zitta.

— Tu mi vuoi bene ma non sei mio amico.

— Non è meglio esser qui noi due soli? — le dissi. — Voglio te sola, nessun altro.

— Vorrei vedere lo volessi, — disse ridendomi all’orecchio.

Poi le chiesi un’ultima volta, che vivesse con me. — Ti perdono, — le dissi. — Ti prendo come sei. Da stanotte cominciamo.

Mi rispose nel buio che voleva provare.

Scendemmo insieme l’indomani nel caffè. Mentre beveva il cappuccino, mi guardò. Disse: — Pablo, ritorni stasera?

— Non me ne vado tutto il giorno.

— È impossibile, Pablo. Devo salire a lavorare. Tu quest’oggi che cosa farai?

Cosí alla sera andammo insieme al Paradiso, e tutto fu come una volta. — Certi giorni, — mi disse, — sei proprio impossibile. Non capisci che ognuno è una cosa diversa e che quello che faccio riguarda me sola. Tu non hai degli amici?

— Li ho piantati.

— Come hai fatto con me. Ma non serve. Con ognuno è una cosa diversa. C’è il suo bello con tutti.

Mentre parlava, mi ero accorto di esser solo. Me ne accorsi di colpo e fui quasi felice. Sapere che, dopo esser stato lassú nel suo


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