Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/44

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quel pensiero per stamparselo dentro, ben sapendo che un nulla sarebbe bastato a disperdere quella gioia, ch’era fatta di nulla. L’ora insolita, l’arresto del tempo, il mattino consueto col suo bagno nel mare e la sua pausa all’osteria, veduto da lontano dipendere da un gesto, gli davano questa gioia. Bastava Giannino, bastava l’alba, bastava pensare a Concia. Ma già il pensiero che bastava ripetere l’istante per sentirsi felice — cosí nascono i vizi — dissolveva il miracolo. «Anche Concia è una quaglia, anche Concia è una quaglia», si ripeteva inquieto e felice.

Mentre tornavano attraverso la campagna nel gran sole, Stefano sapeva che la fresca radura non si sarebbe piú staccata nel suo cuore da quella sciocca idea; cosí come la fulva parola dello scherzo di Giannino s’era incarnata nel corpo di Concia per sempre. Sentí di amare quella gente e quella terra, soltanto per questa parola.

— Scusatemi, Catalano... — ma l’interruppe un cane da caccia che sbucò sul sentiero e si precipitò contro Giannino. — Ohilà, Pierino! — gridò Giannino, fermando il cane per il collare, senza guardarlo. Una voce rispose, innanzi a loro.

Dove il sentiero si congiungeva con lo stradale che discendeva dal monte, trovarono ritto in attesa, col fucile e la mantella, la guardia di finanza. Il cane corse avanti festoso.

Presero insieme lo stradale del ritorno.

— Ingegnere, anche voi cacciatore? — vociò il giovanotto.

Stefano se lo ricordò a capo scoperto, riottoso e invermigliato, quella sera della festa. Adesso lo sguardo era amarognolo, come le sue mostrine.

— Beato chi vi rivede, — gli disse.

Quel Pierino socchiuse un occhio e si volse a Giannino. — Debbo aver veduto uno di voi da solo. Quando?

Stefano pensò a quei rauchi e sonori muggiti che il giovane aveva levato sotto le stelle, prima di stramazzare nel fosso, tanto che non solo un gruppetto di ragazze guidate dal prete, ma pure Vincenzo e altri che prima cantavano, s’eran lasciati sdrucciolare dalla costa, quasi a fuggire ogni imputazione di complicità. Anche Stefano se n’era allontanato, ma godendo in quel buio un improvviso ricordo dell’infanzia remota, quando scendevano dalle colline gli ubriachi e passavano in clamore sotto la villa.


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