Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/440

Da Wikisource.






XVII.

L’estate a Roma non finisce mai. Quelle notti cortissime duravano sempre. Andammo in giro con Giuseppe fuori Roma, e mi portò in un paese, Sant’Oreste, dove c’era una festa e si parlarono in quattro, sotto gli ulivi della strada. Io seduto a una svolta, facevo la posta a chi andava e veniva: se il maresciallo si muoveva dalla piazza. Un altro giorno mi mandò sulla Salaria a dare un pacco in una bettola a un soldato. Questo soldato uscí dal retro senza giacca; sembrava di casa là dentro; si sedette al mio tavolo con la faccia contenta e mi chiese se non avevo dell’altro da fare. Poi cominciò a parlare basso e far domande — se mi piaceva quel lavoro, se in giro vedevo qualcuno, se conoscevo questo o quello. Lasciai correre. Non gli feci capire che l’avevo capito; solamente non dissi niente di piú. Ci lasciammo contenti.

Ricordo che da diversi giorni non vedevo Carletto; Gina sul Lido aveva preso troppo sole e non poteva camminare, la sera venivano Luciano e Giulianella a trovarla. Un mattino Carletto mi piomba in negozio, mi racconta che ha visto qualcuno e mi chiede se vengo nel centro. Disse che forse gli riusciva di rientrare al Varietà. Per la strada parlammo di quando eravamo a Torino: lui s’agitava cosí gobbo e mi pareva di vederlo al Paradiso. Saltò a chiedermi se la chitarra la suonavo di notte e se all’idea di camparci non avevo piú pensato.

— Ma che cosa succede, — gli dissi.

— C’è qualcuno che vuole vederti — . Eravamo sul Corso. Salí gli scalini del Plaza e mi disse: — Non entri?

Mentre aspettavo in quel salone, non sapevo cosa dirmi. For-


436