Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/442

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— Senti, — mi disse, — devi dirmi tante cose. Tu dove mangi? dove stai? Ceniamo insieme?

— Questa sera non posso, — le dissi, — e quest’oggi lavoro.

Senza lasciarci andammo invece in una bettola a mangiare.

Disse: — Mi aspettano. Bisogna che li avverta — . Non c’era il telefono. — Chi ti aspetta? — le dissi. Si fermò sulla porta a guardarmi, e sorrise. — Che vadano, — disse, — voglio stare con te.

Si sedette e mi parlava come fossimo amici. Io per vederla mangiare avrei dato ogni cosa. Si ricordò della chitarra e me ne chiese. — Roma è fatta per te, lo so bene. Qui piace a tutti un suonatore di chitarra.

— Non mi hai mai detto ch’eri stata a Roma.

Lei sorrideva e mi guardava. Mi raccontò dell’atelier e di tante cose. — Hai fatto male, — mi diceva, — a partire cosí, senza dirmelo.

— Guarda un po’, — dissi allora.

Lei fumò una boccata e mi prese la mano sul tavolo. — Non credere, — disse, — so tutto quello che hai passato, e mi dispiace.

Quando fui solo e fu sparita lungo il Corso, tutta Roma era un’altra, ormai. Ci saremmo veduti alle cinque, per cena. Mi aveva detto che voleva accompagnarmi nei miei posti, vivermi insieme anche soltanto quella sera. — Voglio ancora ballare con te, — aveva detto. — Voglio ancora parlarti.

In tre ore dovevo tornare, pulirmi, passare in negozio, far tutto. — Cosa c’è? — mi gridò la Marina vedendomi entrare. Poi nel negozio trovai Gina ch’era in piedi, e mi passò una commissione di Giuseppe. Era venuto poco prima e non aveva detto niente, ma sapevo che quando veniva mi aspettava sul tardi. Mandai Pippo a portargli una gomma e dicesse che avevo da fare. Gina s’accorse che qualcosa c’era in aria. Avrei dovuto passar prima dal negozio e poi a casa. — Sono andato a cambiarmi perché vedo qualcuno, — le dissi. — Non torno a casa questa sera.

Finalmente nel sole ancor tiepido ci trovammo sul Corso. Linda aveva il vestito di prima, le gambe scoperte — e un braccialetto d’oro al polso. Sembrava che fossimo al mare. Io facevo, correvo, ridevo come quando si dice: «Quest’oggi non conta, ci penso domani». Tante ragazze avevo visto all’improvviso per le strade e detto «È Linda», che per un giorno non dovevo aver paura di caderci.

— Dove mi porti? — disse lei.


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