Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/472

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Cosí facemmo la valigia e Dorina ci vide partire. — Che pena, — mi disse, — vederti andar solo.

— Dispiace anche a me. Ma son sicuro che vi trovo al Mascherino quest’altr’anno.

— Non tutti, — lei disse. — Giulianella la paga.

Io e Gina tornammo al negozio. Partivo la sera. Mentre fumavo sulla porta vedo Pippo scappar via. — Dove va?

— Verrà Giuseppe, — disse lei. — Vuole parlarti.

Lo disse cosí come niente.

— Sei matta?

Allora Gina alzò le spalle: — È il tuo lavoro.

— Una volta pensavi diverso.

— È un destino cosí, — disse lei.

Poi quando Pippo fu tornato, andai con lei nell’osteria. — Vuoi venire a Torino? — le dissi.

Mi guardò con quegli occhi chinati. — Ci vengo.

Mangiammo insieme e discutemmo del negozio. — Fatti aiutare da Giuseppe. Vendete, e tu vieni a Torino.

Giuseppe arrivò verso l’una. Della Lungara non parlò gran che. — Si temeva, — mi disse, — che ti avessero visto. Fosse sempre cosí.

Poi mi disse chi c’era a Torino. — Tu vedili, — disse, — noi intanto mandiamo qualcuno. Non bisogna fidarsi.

Gli parlai del negozio e lui disse: — Va bene.

Una cosa voleva sapere, se col Maggiore eran caduti tutti i suoi.

— Dietro lui c’è qualcuno, — mi disse. — Interessa tenere i contatti.

— Non concludono mica.

— Non si sa, — disse lui, — sono forze.

Mi disse poi che Gino Scarpa era in Toscana e se ne andò.

Quel giorno Gina volle chiudere il negozio. Misi via la chitarra, ma prima suonai. Gina ascoltò e mi disse: — Andiamo in quella bettola — . Voleva dire quella strada in campagna, dov’eravamo andati insieme con gli altri, la prima volta, quella sera all’aperto. La presi in canna e traversammo Roma. Mi faceva un effetto curioso vedere le strade. Tra la prigione e che partivo quella sera, mi sembrava una nuova città, la piú bella del mondo, dove la gente non capisce che è contenta. Come quando uno pensa che è stato bambino e dice: «L’avessi saputo. Potevo giocare». Ma se qualcuno ti dicesse: «Puoi giocare», non sapresti nemmeno com’è che si comincia. Ero già un altro, staccato e contento.


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