Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/71

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Stefano guardava le mostrine gialle di Pierino. Pierino gli disse ammiccando: — Vi stupisce, ingegnere? Qui sono tutti avvocati. Hanno tutti un parente in prigione.

— Perché, da te non è cosí?

— Non è cosí.

Stefano guardò quei visi, tutti immobili, qualcuno beffardo, intenti e fatui. Pensò di avere un viso identico, quando disse pacato: — Ma Catalano non doveva prender moglie? — La sua voce gli tornò in un vuoto sordo e quasi ostile.

— Che c’entra? — dissero insieme Gaetano e gli occhi del crocchio. — Non si può mica disonorare la fidanzata.

Pierino, addossato al banco, contemplava il pavimento.

— Ingegnere, state zitto, state, — disse a un tratto cocciuto, senza levare gli occhi.

Vincenzo, che s’era seduto, raccattò il mazzo abbandonato delle carte e cominciò a rimescolarle.

— Don Giannino Catalano fu imprudente, — disse a un tratto. — La ragazza ha sedici anni, e lo disse alle vecchie. Verrà al processo col bambino al collo.

— Se ci sarà un bambino! — disse adagio Gaetano. — Quei di San Leo sosterranno la violenza carnale.

— Ci sarà tempo perché nasca. Oh che credete che a buon conto lo terranno poco in carcere? Ciccio Carmelo stette un anno al giudiziario...

Stefano andò sulla spiaggia, chiazzata di sole e monotona. Si stava bene seduti su un ceppo, a socchiudere gli occhi e lasciare che il tempo passasse. Dietro le spalle intiepidite c’eran muri scrostati, il campanile, i tetti bassi, qualche faccia usciva alle finestre, qualcuno andava per le strade, le strade vuote come i campi; poi la vertigine del poggio bruno-violastro sotto il cielo, e le nuvole. Stefano non aveva piú paure, e guardava il mare quasi nascosto sotto la sponda, e sorrideva a se stesso dell’orgasmo di prima. Vedeva chiaro nel suo smarrimento. Sapeva d’Elena soltanto Giannino, che in quel momento pensava a ben altro. Comprese pure che lo scatto di sollievo assaporato quel mattino, gli veniva dal tedio che la muova avventura interrompeva, e dal presentimento che con Giannino se ne andava l’ostacolo estremo alla piú vera solitudine.

Stefano sapeva di esser triste e inasprito, e ci pensò cosí semplicemente che gli vennero le lacrime agli occhi. Furono come gocce


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