Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/394

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su tutti i balli della vallata. Per lui il mondo era stato una festa continua di dieci anni, sapeva tutti i bevitori, i saltimbanchi, le allegrie dei paesi.

Da un anno tutte le volte che faccio la scappata passo a trovarlo. La sua casa è a mezza costa sul Salto, dà sul libero stradone; c’è un odore di legno fresco, di fiori e di trucioli che, nei primi tempi della Mora, a me che venivo da un casotto e da un’aia sembrava un altro mondo: era l’odore della strada, dei musicanti, delle ville di Canelli dove non ero mai stato.

Adesso Nuto è sposato, un uomo fatto, lavora e dà lavoro, la sua casa è sempre quella e sotto il sole sa di gerani e di leandri, ne ha delle pentole alle finestre e davanti. Il clarino è appeso all’armadio; si cammina sui trucioli; li buttano a ceste nella riva sotto il Salto — una riva di gaggie, di felci e di sambuchi, sempre asciutta d’estate.

Nuto mi ha detto che ha dovuto decidersi — o falegname o musicante — , e cosí dopo dieci anni di festa ha posato il clarino alla morte del padre. Quando gli raccontai dov’ero stato, lui disse che ne sapeva già qualcosa da gente di Genova e che in paese ormai raccontavano che prima di partire avevo trovato una pentola d’oro sotto la pila del ponte. Scherzammo. — Forse adesso, — dicevo, — salterà fuori anche mio padre.

— Tuo padre, — mi disse, — sei tu.

— In America, — dissi, — c’è di bello che sono tutti bastardi.

— Anche questa, — fece Nuto, — è una cosa da aggiustare. Perché ci dev’essere chi non ha nome né casa? Non siamo tutti uomini?

— Lascia le cose come sono. Io ce l’ho fatta, anche senza nome.

— Tu ce l’hai fatta, — disse Nuto, — e piú nessuno osa parlartene; ma quelli che non ce l’hanno fatta? Non sai quanti meschini ci sono ancora su queste colline. Quando giravo con la musica, dappertutto davanti alle cucine si trovava l’idiota, il deficiente, il venturino. Figli di alcolizzati e di serve ignoranti, che li riducono a vivere di torsi di cavolo e di croste. C’era anche chi li scherzava. Tu ce l’hai fatta, — disse Nuto, — perché bene o male hai trovato una casa; mangiavi poco dal Padrino, ma mangiavi. Non bisogna dire, gli altri ce la facciano, bisogna aiutarli.

A me piace parlare con Nuto; adesso siamo uomini e ci conosciamo; ma prima, ai tempi della Mora, del lavoro in cascina, lui che ha tre anni piú di me sapeva già fischiare e suonare la chitarra,


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