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a Roma. Inter se currentes vitam et lampada tradunt, ripetiamo noi intorno alla trasmissione della vita civile da una generazione all’altra, dei nostri Avi a Noi, da Noi ai nostri Nepoti. E questa trasmissione di civiltà come verbo vivificante, che passa di generazione in generazione, era dai saggi di Grecia nelle Feste panatenee acconciamente simboleggiata in una lampada ardente, che nel rapido movimento della danza dalla mano dell’uno a quella dell’altro successivamente si trasmetteva. Guai a quell’individuo, a quel paese, a quel popolo, che non coglie alla sua volta quel verbo vitale; che chiude gli occhi, e non vede, e non coglie la luce della lampada ardente che passa! Se il fuoco sacro di Vesta alimentato dalle nobilissime romane vergini viene a spegnersi, guai alle Vestali, ed a Roma, ed al Mondo! Dove si troverà un altro Prometeo, che un’altra volta rapisca al Cielo la sacra favilla?

Le benefica favilla, che dovrebbe splendere come stella mattutina sulla terra innaffiata dai sudori dei nostri padri, e consolar ci dovrebbe di suo splendore, non è spenta no; ma ella è sepolta come il fuoco di Neemia sotto il fango della terra che calpestiamo coi piedi. Deh! rinvanghiamo questa terra, e ritroveremo tra le ossa degli Avi nostri la luce. Questo è il consiglio che a noi dava l’antica sapienza dell’oracolo, fin da quando intimava ad Enea ed a’ profughi suoi Trojani: antiquam exquirite matrem.