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capitolo terzo 141

Quanta acutezza e sagacia di vedute! Quale ricchezza e finezza di osservazioni!

Ma, con tutto ciò, con tutti i provvidi e amorosi consigli che egli dava, le cose procedevano come — disgraziatamente per la perfettibilità ideale che tutti i patriotti potevano desiderare — come, pur troppo, date le premesse, logicamente dovevano procedere.

Dopo l’amnistia e la nomina del Cardinale Gizzi a segretario di stato, Pio IX, fino all’8 settembre, altro non aveva fatto che nominare una commissione per l’esame dei vari progetti di strade ferrate.

L’8 settembre avvenne la gran festa in onore di Pio IX e per celebrare l’amnistia da lui accordata e per eccitare — questo era sottinteso — l’attività di lui nell’opera riformatrice dello stato.

Promotori principali di quell’arco di trionfo eretto allo sbocco del Corso a piazza del Popolo, erano stati i più ardenti fra gli amnistiati e il popolano Angelo Brunetti detto Ciceruacchio. Le accoglienze fatte al Pontefice, veramente entusiastiche, avevano fatto sembrare questo un vero trionfo antico.

Ma, all’infuori di due circolari del Cardinale Gizzi alle rappresentanze municipali dello Stato per avere suggerimenti intorno a riforme da introdursi nell’educazione della gioventú e intorno al modo di far sparire l’accattonaggio, ai 4 di novembre, cioè quattro mesi dopo l’amnistia, nulla si era fatto. E le speranze erano infinite, infiniti i desiderii, immensa l’aspettazione... che durava - chi ripensi la storia e le condizioni delle popolazioni romane - non da quattro mesi, ma da trentanni!

Così quando il Pontefice si recò in gran pompa - secondo la consueta sua femminile vanità - alla chiesa di S. Carlo dei Lombardi al Corso, sul passaggio di lui scarsi i soliti applausi, poche e fredde le consuete acclamazioni, che a lui tanto piacevano e delle quali si inebriava, ma silenzio quasi profondo. Allo Sterbini, al Principe di Canino, al Montecchi, agli altri capi del partito liberale più avanzato era forse ricorso al pensiero il motto di quel rivoluzionario francese: «il silenzio del popolo è la lezione dei re».

Fatto sta che il silenzio era stato quasi generale fra trentamila persone, schierate dal Quirinale a S. Carlo al Corso, e.