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capitolo primo 11

di diritto penale nell’Università: onde, a ventisette anni, egli, divenuto a Bologna ormai famoso, fu nominato anche consigliere di stato.

Ma, in mezzo al fervore degli studi, alle lotte passionate del foro, alle eloquentissime lezioni sue, Pellegrino Rossi teneva vôlto l’animo alle cose dell’infelice sua patria e, come la maggior parte degl’Italiani intelligenti, colti e coscienti a quei dì, andava vagheggiando e carezzando il sogno della redenzione della penisola.

Di questi patriottici sentimenti, di queste nobili aspirazioni del Rossi, che furono messe in dubbio dai nemici e anche da qualche amico ed ammiratore di lui1, la storia ha indiscutibile riprova e negli atti compiuti da lui, nella primavera del 1815, e nella difesa che di quegli atti egli stesso scrisse e stampò a Genthod, in Svizzera, nel luglio dell’anno stesso,

In quella difesa l’illustre carrarese parlava cosi: «Prima della catastrofe dell’anno passato l’Italia si mostrava sotto due aspetti differentissimi. Vedevasi dall’una parte il regno d’Italia, dall’altra i così detti dipartimenti francesi e fra questi - cosa miserabile a dirsi - Roma e Firenze. Il regno d’Italia, benché troppo soggetto alla dominazione francese e non ancora ben mondo d’ogni anarchia rivoluzionaria, offriva, ciò non ostante, uno spettacolo abbastanza grato a un Italiano, perchè aveva

  1. L’illustre Mignet (Portraits et notices historiques et littéraires, già citate) nelle sue notizie su Pellegrino Rossi, tuttoché assai laudative, affermò, erroneamente, che il Rossi fosse, nel 1814, assai contento del regno italico e dell’ordinamento francese dato all’Italia da Napoleone e immaginò un Pellegrino Rossi già francese, prima del 1838. Ripetè l’errore dell’illustre storico, aggiungendone tanti altri di suo, come si vedrà in seguito, il visconte Henry D’Ideville (Le comte Pellegrino Rossi, sa vie, son œuvre, sa mort, Paris, Calmann Lévy, 1887). Se il Mignet e il D’Ideville avessero ripensato al proclama del Rossi, pubblicato il 4 aprile 1815 a Bologna, quale commissario del re Gioacchino nelle provincie dal Po al Tronto, e se avessero posto mente alla difesa stampata dal Rossi stesso a Genthod nel luglio successivo, non sarebbero caduti in tale grossolano errore, che fu vittoriosamente combattuto, prima dal Pierantoni (op. cit., pag. 51), poi da Francesco Bertolini (Letture popolari di storia del risorgimento italiano, Milano, U. Hoepli, 1895, pag. 54 e seg.). Del quale errore, se può essere chiamato in peccato veniale il Mignet, che forse, la lettera apologetica dettata dal Rossi a Genthod, nel luglio 1815, non conosceva, deve essere chiamato in peccato mortale il D’Ideville, il quale quella lettera conosceva così che ne riportava un frammento nel suo sconclusionato volume - il cui vero nome è zibaldone - e precisamente alla chiusura del Capitolo I, a pag. 32. Cfr. con E. Renaudin in Journal des Économistes del 5 settembre 1887.