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capitolo quarto 193

La lettera arcadica da lui scritta all’Imperatore d’Austria, subito dopo l’Enciclica del 29 aprile, per persuaderlo a ripassare le Alpi e ad abbandonare TItalia, la missione affidata al deputato Farini presso il Re Carlo Alberto, la protesta fatta emettere dal Cardinale Soglia Ceroni contro l’invasione austriaca, erano tutti pannicelli caldi sopra una gamba di legno; tanto più che egli e i reazionari, da lui incoraggiati con l’Allocuzione e ai quali ormai si era dato in braccio, palesemente attraversavano l’opera del Mamiani e del Consiglio dei deputati.


    tissime spine, «e crediamo che, salvo l’ambizione appagata e la persuasione di servire abilmente ad un partito politico, non fosse cosa molto piacevole di perseverare al potere, in disaccordo col proprio Sovrano. Che anzi restiamo stupiti, come trovandosi sempre in una falsa posizione, abbia saputo reggersi por tre mesi al timone degli affari. Ma la causa di questo disaccordo, secondo noi, non era già nella abilità o incapacità del ministro, nell’asprezza o amabilità dei suoi modi (che anzi stipava essere insinuante e pieghevole), sì bene nella impossibilità assoluta, o per lo meno, nella somma difficoltà di un governo costituzionale in Roma, e di quelli foggiati alla moderna, i quali, salvo l’Inghilterra, il Belgio e qualche Stato di minor conto, non ci sembra abbian dato di sé il miglior saggio. Quanto al Mamiani personalmente, dobbiam rammentare che esso non fu scelto liberamente dal Pontefice a ministro, perchè gli venne imposto dalla piazza e dai circoli. Qual meraviglia pertanto, se la origine non essendo stata pura, non felici ne fossero i risultati?» (G. Spada, Storia della rivoluzione romana, vol. II, cap. XV, pag. 420-21).

       Confessione preziosa davvero! Alla quale io oggi sono in condizione di aggiungere un’altra prova importante delle mene del partito reazionario attorno a Pio IX, prima e dopo l’aprile 1848, per alienarlo dalla causa nazionale. Nel museo del Risorgimento italiano, annesso alla biblioteca Vittorio Emanuele, esistono le carte del Cardinale Pentini, a quei tempi monsignore e sostituto, ossia sottosegretario di stato al ministero dell’interno, prima col Mamiani, poi col Fabbri, poi col Rossi. Monsignor Francesco, poi Cardinale Pentini, figlio del marchese Ulisse, era nato a Roma nel 1799. Uomo d’ingegno assai pronto e dotato di buona cultura, era di animo rettissimo, franco, leale e di spiriti moderatamente, ma sinceramente liberali.

       Le carte di monsignor Pontini consistono in tanti foglietti e mezzi foglietti volanti, nei quali, di tutto suo pugno, il Pentini segnava annotazioni e ricordi che avrebbero servito a lui per scrivere, come era sua intenzione, le Memorie di quel triennio che, sventuratamente, non scrisse. Ora, mercè le cure di un valoroso giovine bibliotecario, il dott. Attilio Luciani, quelle carte sono bene disposte e messe a catalogo e furono, in parte, da me esaminate. Nella busta 19, cartellina 37, havvi una breve annotazione di monsignor Pentini, in cui egli dice di voler bene riaffermata la lotta che «i traditori esagerati e reazionari, ma specialmente questi ultimi, facevano attorno a Pio IX prima e dopo l’Enciclica del 29 aprile». Monsignor Pentini si mostra adirato contro quei traditori, e conclude: «Solo Corboli ed io rimanemmo fuori di questa classe».

       Il che, data l’autorità e la probità dell’uomo, dimostra che tutti gli altri prelati attornianti Pio IX si adoperavano ad allontanarlo dalla causa nazionale. Ciò, se è di scusa al Mastai, aggrava la Curia.